"[...] D.: L'economia italiana è a zero. La disoccupazione e la recessine produttiva, i debiti con l'estero, la fuga dei capitali hanno raggiunto dimensioni spaventose. Come volete fermare questa depressione economica? E non dovete temere il boicottaggio degli operatori del commercio [...]? R.: Risollevare e rinnovare un Paese che è stato portato all'attuale grado di crisi e di dissesto è impresa quanto mai ardua. Ma per riuscirvi esistono ancora le condizioni e le forze. Questa impresa può essere compiuta solo attraverso un grande sforzo di solidarietà nazionale e democratica. Se non si cambia strada al più presto il Paese sarà esposto in breve volgere di tempo ad un non governabile collasso economico, a uno sbriciolamento del tessuto politico e morale, ad una crescente emarginazione dall'Europa. Non è dunque retorico affermare che quel che è in gioco oggi è la salvezza della nazione, l'avvenire dell'Italia come Paese democratico e civile. Sarebbe da irresponsabili, in questa situazione, fare della demagogia o tentare di far credere che esistano soluzioni taumaturgiche. Sarà necessario un severo e prolungato sforzo di tutto il paese, una mobilitazione eccezionale di tutte le risorse materiali, di tutte le energie morali, di tutte le forze politiche e culturali. Di qui nasce la nostra proposta politica. Noi siamo convinti che l'Italia può risorgere, ma a due condizioni. La prima è che lo sforzo abbia un senso, che la gente sia convinta che valga la pena farlo e abbia quindi l'umana certezza e le garanzie politiche che l'impegno che si chiede ha come suo fine un assetto della società più giusto, più libero, più ordinato. La seconda condizione - quella che assicura la risposta e il consenso del Paese allo sforzo che gli si chiede - è che l'Italia abbia una guida nuova, democratica ed unitaria, politicamente e moralmente autorevole, forte della fiducia di tutto il popolo lavoratore e delle forze che con esso vogliono il rinnovamento, come i giovani e le donne, e che abbia il consenso e l'appoggio di tutti gli strati sani della nazione, dei ceti produttivi dell'industria, del commercio, dell'agricoltura, dei servizi. Noi siamo convinti che gli ambienti più responsabili e lungimiranti degli altri Paesi dell'Occidente comprendono che un'Italia più stabile politicamente e con un'economia più solida è nell'interesse di tutti.[...]"
Quanti concetti racchiusi in questo frammento di intervista giocano un ruolo pesante ed ancora più (pre)potente per la situazione di disastro contemporaneo a cui ogni italiano continua ad assistere impotente? Quante speranze tradite e quante prospettive sono andate bruciate, da quell'ormai lontano 1976? Ogni parola citata di Enrico Berlinguer rischia di trasformarsi ogni giorno di più in una profezia dal sapore troppo amaro per poter essere accettato e sopportato passivamente:
"[...] collasso economico [...] sbriciolamento del tessuto politico e morale [...] crescente emarginazione dall'Europa [...]"
Concetti come questi sono, nella dimensione moderna, aggravati ed amplificati da una situazione macro-economica 'vincolata' ad un peggioramento percepito come senza quartiere:
- squilibri finanziari 'rimediati' con tagli al sociale e/o sulla 'carne viva' dell'economia reale;
- disoccupazione galoppante;
- eserciti di giovani senza futuro e/o storditi da una drammatica assenza di risposte a problemi sempre più gravi;
- 'patti' europei che consegnano annualmente all'Italia intera tagli massacranti al bilancio per il mantenimento dei desiderati 'conti in ordine';
- aziende e realtà imprenditoriali che chiudono a ritmi devastanti, massacrate da tassazioni di esorbitante peso e (pre)potenza;
- ambiente spogliato da una minaccia ormai costante di dissesto sismico, idrogeologico, [...];
- spese di guerra difese 'a gran giornate', mentre al cittadino medio e mediamente informato vengono fatti passare come inevitabili tagli ai posti letto degli ospedali od innalzamenti del livello di tassazione nei sistemi di mobilità e trasporto locale;
- constanti e lancinanti fughe di cervelli, costretti ad espatriare per vedere una parte anche minima dei loro meriti e dei loro sogni realizzati.
"[...]Non è dunque retorico affermare che quel che è in gioco oggi è la salvezza della nazione, l'avvenire dell'Italia come Paese democratico e civile. [...]"
La salvezza della nazione è legata ad un sottolissimo filo alla sopravvivenza socio-economica degli stessi italiani, sempre più devastati e sferzati da una crisi senza quartiere e (forse) ancora piuttosto lontana dal potersi definire sorpassata e superata. Quali sono le reali 'armi' per sopportare e supportare un processo di rinascita culturale, economica, sociale, ambientale, [...] che possa ricondurre questa Italia sulla giusta strada? Per rispondere a questa domanda è possibile citare nuovamente, oggi più di ieri, le parole attribuite ad Enrico Berlinguer:
"[...] Sarà necessario un severo e prolungato sforzo di tutto il paese, una mobilitazione eccezionale di tutte le risorse materiali, di tutte le energie morali, di tutte le forze politiche e culturali. [...]"
Essendo probabilmente prossimi ad uno sforzo che rischia di essere più severo e prolungato rispetto alle troppe occasioni mancate dalle classi dirigenti di questa devastata Italia, è lecito chiedersi quali consistenze attribuire al troppo immenso concetto di "mobilitazione". Quali traguardi sarebbe possibile raggiungere qualora si cercasse di perseguire politiche di austerità e/o di "libertà" nella gestione dei conti pubblici di qualunque livello istituzionale? Quali traguardi sarebbe possibile raggiungere qualora agli italiani fosse chiesto, in un futuro non troppo lontano, di "dare" ancora di più in termini economici? Se l'italiano deve 'dare' qualcosa, è però necessario che chi decide ubbidisca ad un pregiudizio positivo efficacemente riassunto dalle parole di Berlinguer:
"[...] Noi siamo convinti che l'Italia può risorgere, ma a due condizioni. La prima è che lo sforzo abbia un senso, che la gente sia convinta che valga la pena farlo e abbia quindi l'umana certezza e le garanzie politiche che l'impegno che si chiede ha come suo fine un assetto della società più giusto, più libero, più ordinato. La seconda [...] è che l'Italia abbia una guida nuova, democratica ed unitaria, politicamente e moralmente autorevole, forte della fiducia di tutto il popolo lavoratore e delle forze che con esso vogliono il rinnovamento [...]"
Da queste due condizioni deve passare, oggi più di allora, una presa ulteriore (qualora ancora possibile) di valori da parte delle classi politico-tecniche che sono reputate alla difficoltà della decisione. Tale incremento di consapevolezze dovrebbe inevitabilmente coagularsi in una serie di imprescindibili valori a cui fare riferimento assoluto per il futuro più prossimo ed anteriore:
- credibilità;
- onestà;
- competenza;
- verità;
- realismo;
- informazione oggettiva;
- coraggio;
- buon senso.
"[...] Sarebbe da irresponsabili [...] fare della demagogia o tentare di far credere che esistano soluzioni taumaturgiche.[...]"
Se non esistono soluzioni facili, è altrettanto coerente affermare che non possono essere fatte promesse impossibili da realizzare. Quali prospettive può avere una classe politica che sembra, fino ad oggi, preda della "golden share" decisionale consegnata ancora una volta ad uno dei massimi artefici del dissesto socio-economico-culturale-[...] di questi ultimi anni? Quale futuro può sperare di avere un'Italia regolata e relegata al ricevere informazioni continuamente attinenti alle solite tematiche inerenti a diktat impartiti dal solito fuoco politico ormai palesemente nemico del bene pubblico? Quali e quante emergenze nazionali potrebbero essere risolte, qualora fosse possibile prendere decisioni realmente utili per il futuro dell'Italia intera? E' davvero sufficiente votare "no" a mozioni di sfiducia rivolte a Ministri, pena la possibilità di far indispettire il B. di turno propenso a far precipitare Governo ed Italia intera in un probabile caos senza uscita? Risposte esaustive a queste e molt(issim)e altre domande sono probabilmente recuperabili attraverso un dialogo da ripristinare che, oggi più che mai, sembra lontano da qualsiasi forma possibile di vuota e spoglia(ta) retorica:
"[...] La seconda condizione [...] è che l'Italia abbia una guida [...] forte della fiducia di tutto il popolo lavoratore e delle forze che con esso vogliono il rinnovamento, come i giovani e le donne, e che abbia il consenso e l'appoggio di tutti gli strati sani della nazione, dei ceti produttivi dell'industria, del commercio, dell'agricoltura, dei servizi.[...]"
Come tornare ad avere credibilità nei confronti delle differenti basi che costituiscono la piramide devastata di una società come quella italiana? Basi (dovrebbero) chiamano(chiamare) vertici, appunto. Oggi più di ieri, senza possiibli dubbi.
Sospetto, incubo o realtà?
Fonte intervista: "Casa per casa, strada per strada - La passione, il coraggio, le idee", Melampo Editore, P.Farina