Magazine Cultura
Ed è il Libano, la Guerra civile, il cuore nell'esofago al suono di un grilletto, è la voce di Carmi Cna'an, che ti racconta di una specie di dea del mare, del suo corpo di Gigantessa nuda, del suo sonno in questo enorme grembo, di una notte solitaria, tremenda e incomunicabile come la paura. Ho trovato interessantissimo il fatto che i singoli episodi del film godano -o soffrano- di una indiscutibile autarchia rappresentativa. Sono quasi tutti dei piccoli gioielli, singoli elementi di uno stesso codice, esaltati da melodie intimissime (del solito Richter), da hit psichedeliche anni '80 o da impronunciabili delizie di Johann Sebastian Bach. Penso al racconto di Shmuel Frenkel, al bambino tra gli uliveti, oppure a quello del mattatoio dei cavalli e mi convinco agevolmente dell'esattezza di una simile osservazione. La sublimazione di questa scelta narrativa mi sembra stia tutta in una scena minuscola -poco più di cinquanta secondi!- dedicata al racconto dei militari russi, che scendono dal treno, danno un bacio alle loro mogli e risalgono nei vagoni d'acciaio per tornare al fronte. Feroce, violento, categoricamente bello. Eppure, in questo documentario (girato come la striscia di un fumetto) è il racconto personale di Folman a tormentarci da vicino: il regista non fa che ritornare a Beirut, ma gli occhi hanno ancora i filtri impolverati della memoria. Finalmente un vago ricordo di polvere, donne, insetti e vicoli rivelatori. Se i campi di Sabra e Shatila non vi dicono niente, andate a cercare qualcosa. Folman, in un movimento cattivissimo e improvviso, è riuscito a schiantarli nei miei occhi (e di tutti quelli che hanno visto il film). Fermatevi a guardare i titoli di testa, una versione commovente di The Haunted ocean renderà indimenticabili le ultime immagini. ..Ho pensato a noi, al nostro mondo iper-estetico, iper-materialista..
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