Quello verso il Laos è stato probabilmente il mio viaggio più volte posticipato. Quando per un motivo, quando per un altro, sembrava quasi che il destino mi volesse impedire di visitare questa terra priva di sbocchi al mare ma ricca di fascino e meta turistica in rapida evoluzione di cui in tanti mi avevano parlato.
A Vientiane ristoranti, guesthouse, negozi di souvenir e agenzie di viaggi si trovano sparse ovunque nella città per cui trovare una sistemazione o organizzare escursioni non è affatto difficile. Il mio programma mentalmente prevedeva solamente una tappa al di fuori della capitale, un sito archeologico di cui avevo letto un articolo in francese: Vang Xang. I vari tour organizzati offrono tutti mete famose come Viang Vieng o Luang Prabang; della mia Vang Xang nessuna traccia nei depliant di agenzie e tour operator locali. Neppure Google Map conosce Vang Xang. Solo Green Descovery Laos prevede una breve sosta lungo il tragitto che da Vientiane porta i turisti a fare kayaking sul fiume Nam Song nei pressi di Viang Vieng. La disponibilità di uno degli operatori di Green Descovery mi ha permesso di raccogliere le informazioni sufficienti per raggiungere la zona in cui si trovano i resti del santuario.
Con un autobus locale diretto a Vang Vieng è possibile percorrere sulla dissestata “Strada 13” i 62 km verso nord. È proprio grazie al chilometraggio che si può chiedere di scendere dal bus. Dopo un imprecisato numero di soste si deve procedere a piedi lungo una strada sterrata che si addentra nel bosco: nessun cartello stradale, nessuna indicazione turistica, solo un piccolo ristorante con qualche camera e poche persone con cui confermare che siamo arrivati a destinazione.
Dopo poco più di 20 minuti di comoda passeggiata lungo il torrente Vang Sang si arriva finalmente al sito archeologico. Letteralmente il nome Vang Xang significa “cortile degli elefanti” in quanto, secondo la tradizione, prima di diventare santuario, era un cimitero degli elefanti. All’interno delle grotte si possono ammirare 10 statue di Buddha scolpite nella roccia, 2 di circa 3 metri d’altezza e 3 di quasi 2 metri affiancate da altre 5 statue più piccole. Lo stile e un’iscrizione incisa sulla roccia fanno datare il sito all’era d’Impero Cambogiano-Khmer, fra i secoli X e XI. Venne abbandonato per diversi secoli e riscoperto solamente nel 1974.
Tuttora il sito archeologico è meta di pellegrinaggi da parte degli abitanti dei villaggi vicini soprattutto in occasione delle festività buddiste più importanti, pellegrinaggi che spesso terminano con l’accensione d’incensi, offerte votive e pic-nic. Il disappunto viene dalla scarsa coscienza che questo popolo ha per il patrimonio culturale e artistico che potrebbe tramandare alle generazioni future e la scarsa cura e lo stato di abbandono in cui vengono lasciati luoghi magici come questo.
Una generazione che ignora la storia non ha passato… né futuro.
Robert Anson Heinlein
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