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Di Davide. Salmo. Oracolo del Signore al mio Signore: "Siedi alla mia destra, finché io ponga i tuoi nemici a sgabello dei tuoi piedi".
Lo scettro del tuo potere stende il Signore da Sion: "Domina in mezzo ai tuoi nemici.
A te il principato nel giorno della tua potenza tra santi splendori; dal seno dell'aurora, come rugiada, io ti ho generato".
Il Signore ha giurato e non si pente: "Tu sei sacerdote per sempre al modo di Melchisedek".
Prima lettera di san Paolo apostolo ai Corinti 11,23-26.
Fratelli, io ho ricevuto dal Signore quello che a mia volta vi ho trasmesso: il Signore Gesù, nella notte in cui veniva tradito, prese del pane
e, dopo aver reso grazie, lo spezzò e disse: "Questo è il mio corpo, che è per voi; fate questo in memoria di me".
Allo stesso modo, dopo aver cenato, prese anche il calice, dicendo: "Questo calice è la nuova alleanza nel mio sangue; fate questo, ogni volta che ne bevete, in memoria di me".
Ogni volta infatti che mangiate di questo pane e bevete di questo calice, voi annunziate la morte del Signore finché egli venga.
Dal Vangelo di Gesù Cristo secondo Luca 9,11b-17.
Ma le folle lo seppero e lo seguirono. Egli le accolse e prese a parlar loro del regno di Dio e a guarire quanti avevan bisogno di cure.
Il giorno cominciava a declinare e i Dodici gli si avvicinarono dicendo: «Congeda la folla, perché vada nei villaggi e nelle campagne dintorno per alloggiare e trovar cibo, poiché qui siamo in una zona deserta».
Gesù disse loro: «Dategli voi stessi da mangiare». Ma essi risposero: «Non abbiamo che cinque pani e due pesci, a meno che non andiamo noi a comprare viveri per tutta questa gente».
C'erano infatti circa cinquemila uomini. Egli disse ai discepoli: «Fateli sedere per gruppi di cinquanta».
Così fecero e li invitarono a sedersi tutti quanti.
Allora egli prese i cinque pani e i due pesci e, levati gli occhi al cielo, li benedisse, li spezzò e li diede ai discepoli perché li distribuissero alla folla.
Tutti mangiarono e si saziarono e delle parti loro avanzate furono portate via dodici ceste.
Solennità del Corpus Domini
“Ogni volta infatti che mangiate questo pane e bevete al calice, voi annunciate la morte del Signore.”
Alle origini della festa
Il Miracolo avvenne nell’estate del 1264. Un sacerdote boemo, Pietro da Praga, venne in Italia per un'udienza con Papa Urbano IV, che durante l’estate si era trasferito ad Orvieto, accompagnato anche da San Tommaso d’Aquino e numerosi altri teologi e Cardinali. Pietro da Praga, subito dopo essere stato ricevuto dal Papa, si incamminò per ritornare in Boemia. Lungo la via del ritorno si fermò a Bolsena, dove celebrò la Messa nella chiesa intitolata a Santa Cristina. Al momento della consacrazione, quando il sacerdote pronunciò le parole che permettono la transustanziazione, avvenne il Miracolo, così descritto da una lapide posta a ricordo:
«Improvvisamente quell’Ostia apparve, in modo visibile, vera carne e aspersa di rosso eccetto quella particella, tenuta dalle dita di lui: il che non si crede accadesse senza mistero, ma piuttosto perché fosse noto a tutti quella essere stata veramente l’Ostia che era dalle mani dello stesso sacerdote celebrante portata sopra il calice».
Grazie a questo Miracolo il Signore rafforzò la Fede del sacerdote che malgrado la sua provata pietà e moralità, nutriva spesso dubbi circa la reale presenza di Cristo sotto le Specie del pane e del vino consacrate. La notizia del Miracolo si diffuse subito e sia il Papa che San Tommaso d’Aquino poterono verificare immediatamente di persona il Prodigio. Dopo attento esame Urbano IV ne approvò il culto. Egli decise poi di estendere la festa del Corpus Domini, che sino all’epoca era stata soltanto una festa locale della diocesi di Liegi, a tutta la Chiesa universale. Il Papa incaricò San Tommaso di scrivere la liturgia che avrebbe accompagnato la Bolla «Transiturus de hoc mundo ad Patrem» in cui vengono esposte le ragioni per cui l’Eucaristia è così importante per la vita della chiesa.
Meditazione La celebrazione della solennità del “Corpo e Sangue di Cristo”, introdotta da papa Urbano IV nel 1264, è per noi oggi motivo di riflessione, di lode e ringraziamento e di profonda adorazione e contemplazione. È tornare con il cuore e la mente alle radici del nostro essere Chiesa, del nostro vivere e del nostro morire. È tuffarci in modo tutto particolare nelle sorgenti della salvezza. Ad ogni Celebrazione Eucaristica è il Signore che viene a noi e ci raduna come popolo perché, “in festosa assemblea celebriamo il sacramento pasquale del suo Corpo e del suo Sangue”. Egli è l’unico, sommo ed eterno sacerdote che per noi diviene offerta sull’altare della croce e che a noi si offre oggi “in apparenza umile” (S. Francesco). Il pane e il vino, che per le mani del sacerdote diverranno il Corpo e il Sangue del Signore, sono il segno di un Dio che mai si stanca di incarnarsi per essere accanto all’uomo. Egli “ogni giorno si umilia, come quando dalla sede regale discese nel grembo della Vergine; ogni giorno viene a noi in apparenza umile; ogni giorno discende dal seno del Padre sopra l’altare nelle mani del sacerdote”. E’ il mistero dell’incarnazione che si rinnova ad ogni celebrazione. È mistero d’amore che rinnova il sacrificio di Cristo contemplato e celebrato dalla Chiesa nel Triduo Pasquale.
“Il Signore ha nutrito il suo popolo con fior di frumento, lo ha saziato di miele della roccia.”
Preghiamo
Come è bello Signore stare innanzi a Te,
guardarti e sentirmi guardato,
parlarti e sentirti parlare,
ascoltarti e sentirmi ascoltato,
cercarti e trovarti,
amarti e sentirmi amare.
Come è bello Signore stare innanzi a te,
sapere che tu sei lì, in quel pezzo di pane,
sapere che passi i giorni interi e le notti,
chiuso in quel tabernacolo ad aspettare chi come me,
preso da tanti impegni, dimentica la cosa più importante,
la cosa più preziosa.
Come è bello Signore stare insieme a te.
Il mio cuore carico di peccati sembra scoppiare,
ma l'amore che esce da quel tabernacolo mi dà speranza,
mi dà la forza di rialzarmi,
mi dà il coraggio di chiederti perdono,
mi dà la gioia di gridare a tutti:
Come è bello Signore stare insieme a te.
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