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She walks in beauty, like the night/Of cloudless climes and starry skies;/And all that’s best of dark and bright/Meet in her aspect and her eyes:/Thus mellow’d to that tender light/Which heaven to gaudy day denies. (Byron – Vanity fair opening )
A volte il titolo di un film può lasciarci perplessi e sembrarci inadatto al soggetto , ma in questo caso mai titolo è stato più appropriato : ” la fiera della vanità ” è senza ombra di dubbio una pellicola vanitosa in ogni senso nelle sue pretese narrative e nella possente resa visiva : tratto da un romanzo di William Makepeace Thackeray (col quale il cinema ha già avuto modo di familiarizzare grazie a ” Barry Lyndon ” ) il film segue la scalata alla buona società della bella Becky Sharp ( una raggiante Reese Witherspoon al massimo della forma ) , umile figlia di un pittore in miseria e di una ballerina , che dopo una giovinezza trascorsa in una scuola per signorine come domestica all’ombra dell’agiata amica Amelia Sedley (una giovane Romola Garai qui all’inizio della sua carriera ) , riesce proprio con lei a lasciare l ‘ istituto per lavorare come governante presso la famiglia Crawley ; per la ragazza l’occasione di evitare l’angusta occupazione si presenta immediatamente nel ricco e poco avvenente fratello dell’amica , che viene però presto persuaso dalla malalingua di George Osborne (un Jonathan Rhys - Meyers antipatico al punto giusto ) giovane soldato promesso ad Amelia , a ritirare le proprie attenzioni : Becky non si arrende e preparato nuovamente il bagaglio con le sue iniziali inizia una nuova tappa della sua scalata che sembra cambiare definitivamente la sua sorte : dopo essere stata governante presso il bizzarro sir Pitt Crowley , la giovane riuscirà a sposare Rawdon (un James Purefoy eccessivamente paralizzato dalla divisa che indossa ) , affascinante rampollo della famiglia apparente dotato di una solida situazione economica , e con lui si prepara a iniziare una nuova vita di splendori ; ma la battaglia di Waterloo (nella quale Rawdon combatterà e George perderà la vita ) e l’esclusione dal testamento della ricca zia patronessa di Rawdon portano la coppia di nuovo sull’orlo della povertà e spingono Becky verso l’ambiguo appoggio del marchese di Steyne (affascinante e perfetto come sempre Gabryel Byrne ) , che chiederà in cambio del suo appoggio un prezzo troppo alto ; anche quando perderà tutto nuovamente , la giovane troverà comunque la forza di rifare i bagagli e andare avanti . Diverso è invece il percorso dell ‘amica Amelia , che da nobile di buona famiglia diventa povera e miserabile , innamorata di un uomo che la sposa solo per onorare la sua promessa ma che in realtà la disprezza , senza capire per lungo tempo chi sia in realtà il suo vero grande amore . La regista Mira Nair si presta al cinema in costume di stampo tipicamente britannico senza mai dimenticare le sue origini ( che curiosamente coincidono con quelle di Tackeray essendo lui nato a Calcutta ) : l’India è presente attraverso una ricca messa in scena quasi maniacale nella perfezione dei dettagli , colorata di tinte calde e sfarzose sfumature di rosso e arancio , fra sfavillanti costumi , vertiginose acconciature e fastose scenografie , per non parlare poi delle danze appassionate dei lussureggianti festeggiamenti che richiamano in modo esplicito le atmosfere coloniali (dalla esotica festa organizzata dal fratello di Amelia alla sensuale danza di Becky in onore del sovrano ) , rivelando tutta la passione e la naturale propensione della regista per la sua terra natìa . La sceneggiatura di Julian Fellowes azzarda alla modifica dell’ impianto originale del romanzo per adattarlo al gusto meno impietoso e più partecipe del pubblico del ventunesimo secolo : è palese la sua preferenza per la vicenda di Becky rispetto a quella della dolce Amelia , che veniva invece da Tackeray narrata in modo altrettanto preminente per fungere da controaltare alla ” immorale ” vicenda della sua amica : ma per noi , la storia della remissiva Amelia Sedley è molto meno interessante della passionale e impetuosa creatura interpretata con fervore da Reese Witherspoon oltre ad essere inevitabile fonte di insofferenza proprio per la sua perfetta ingenuità : Becky è invece una fanciulla come tante oggi se ne potrebbero incontrare che cerca in ogni modo di cambiare il suo destino per quella posizione che per nascita le era stata negata , disposta a tutto pur di farsi accettare dalla maledetta buona società che con grande difficolà lascia entrare nuovi membri al suo interno . Forse l’intento satirico e morale di Tackeray si smarrisce un po’ lungo la strada per favorire la luminosa stella di Reese Witherspoon e del suo umano ed empatico personaggio , ma la nuova strada intrapresa dalla regista indiana risplende di una luce propria e originale , fatta di sentimenti e passioni , ricche stoffe e drappi colorati , variopinti e vanitosi come le piume di un pavone , lo stesso che compare nella sequenza d ‘ apertura sulle parole musicate di una nota poesia di Byron .
( http://www.recencinema.com/la-fiera-delle-vanita.html )
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