Varcare la frontiera (europea), da Przemysl a Leopoli

Creato il 31 agosto 2011 da Eastjournal @EaSTJournal

di Matteo Zola

Varcare la frontiera dell’Unione Europea è sempre un’esperienza emozionante. L’unica frontiera che abbia un senso, ormai, nel nostro vecchio continente di libera circolazione. Dall’altra parte sarà senz’altro tutto diverso. Saremo stranieri, e come tali non capiremo i gesti, le domande, gli ordini. Ordini che le guardie doganali daranno in qualche lingua ostile. La lingua della polizia è sempre ostile. I documenti saranno tutti a posto? il certificato di proprietà dell’auto? Quando esci dall’Unione devi sempre dimostrare che l’auto che stai guidando è tua. Il grande numero di Mercedes Benz dell’ottantanove che circola nelle strade di Albania o Ucraina fa capire bene il motivo.

La vedi sventolare la bandiera straniera, gialloblu o dall’aquila nera, in fondo a una coda chilometrica. La statale 884 che da Przemysl porta a Leopoli è un continuo andare e venire di camion che rendono il traffico insopportabile. L’alternativa è infilarsi per tortuose stradine di campagna che affondano tutte da un lato. Nella Polonia del boom economico, infatti, sembra che il Tir sia diventato il mezzo di trasporto privilegiato dei lavoratori polacchi. Sembra che ogni polacco della regione possieda un camion. Li vedi, enormi, riposare sgraziati in giardinetti  accanto a casette basse, contadine, rigorosamente senza intonaco e con il tetto in lamiera. Le strade non si aspettavano quest’invasione di mezzi pesanti, troppo strette, si piegano sotto tonnellate di Scania, Man Tga, Mercedes Actros. Quando due di questi bestioni si incrociano lungo le stradine di campagna, è frequente che uno si ribalti. Allora vedi la pancia meccanica, orrida, nuda, di questi giganti neopreistorici mentre uomini corpulenti li tirano su con ruvide corde come se tirassero a riva una mostruosa pescagione. Arrivare per queste vie al confine con l’Ucraina può richiedere giorni.

Alla dogana il passaporto europeo consente di saltare la coda dei frontalieri che, con le loro Opel Vectra anni Novanta, fumano e ciabattano tra il posto di blocco polacco e quello ucraino. La burocrazia di confine è lenta e ottusa: c’è l’omino che conta quanti sono i passeggeri dell’auto. L’omino che ti chiede il passaporto. Quello che ti fa firmare il foglio d’ingresso. Quello che in ucraino ti dice che l’hai compilato male. Quello che ci mette il timbro su.

Poi la statale M10 si spalanca in tutto il suo vasto nulla. Per chilometri non una casa, qualche vecchio falcia il fieno a mano nei campi assolati. L’orizzonte è popolato da sogni di cosacchi e tatari a cavallo nelle steppe. Ma ci vorrebbe un mulo, non un’automobile, per arrivare a Leopoli. La M10 è un susseguirsi di buche ampie e profonde. Il semiasse lancia il suo cri de douleur alla seconda tampa centrata. “Buca!” “Buca con acqua!”. E’ bene non avventurarsi per quella via nottetempo, non una luce la illumina, e le voragini nell’asfalto si fanno sempre più grandi. L’obbligo di precedenza è per le oche che, a fieri stormi, attraversano la strada con il loro celebre, marziale, passo.


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