
Ogni giorno dobbiamo combattere per qualcosa, per qualcuno, fosse anche solo per noi stessi.
E’ il nostro destino da quando veniamo alla luce. Condizioni esterne più o meno favorevoli possono renderci questo compito altrettanto facilitato o complicato, ma questo non modifica la premessa; ossia che nessuno potrà fare nel momento decisivo al nostro posto, quello che da noi stessi siamo chiamati a svolgere.
Cosa? Per esempio respirare; per esempio nutrirci; per esempio proteggerci dal momento che acquisiamo l’età della ragione da qualunque pericolo (soprattutto da quelli molto a rischio); per esempio avere fiducia di noi stessi e delle nostre possibilità (soprattutto quando non possiamo averne degli altri); per esempio sapere darci tempo in caso di forte stress o confusione, rimandando al domani le decisioni da prendere…
Così che la vita si sussegue in una serie inesorabile di lotte, lotte per le più varie ragioni, per le più varie necessità, senza mai potere dire che una certa questione potrebbe configurarsi come l’ultima.
L’ultima di che? Forse della settimana, forse del mese, forse dell’anno, prima dell’arrivo delle nuove.
Non c’è tregua, se non quando possiamo trovarci ad intervallare queste tensioni con parentesi di grande rilassamento o di relativa quiete. Giusto il tempo di riprendere fiato, giusto l’occasione di ricaricare le batterie.
Vorrei sapere cosa verrebbe a chiunque di raccontare se interrogato sul suo imminente passato o presente. Racconterebbe spontaneamente delle sue disgrazie o delle sue cose piacevoli e gradite? Immaginiamo che le cose di cui verremmo a conoscenza dovessero rimanere nel segreto del tempo che le accoglie; immaginiamo che questo raccoglitore di verità dovesse essere il silenzio stesso…di cosa si riempirebbe per lo più questo silenzio senza volto, senza occhi, senza bocca, fatto solo di orecchie che ascoltano e di cervelli che comprendono e di cuori che partecipano?
Io credo che si riempirebbe sostanzialmente di cose vive, magari faticose e tristi, ma vive; magari orribili e sgradevoli, ma vive; magari speciali e poetiche dentro le vite più insulse, che rendono anche le miserie cose vive, cioè degne di stare nel mondo.
Così che dove c’è lotta c’è vita, e dove c’è vita c’è bellezza, cioè gioia.
Gioia contro la morte, contro la negazione stessa della lotta.
Non posso immaginare il buio. Un lottatore non lo può concepire.
Il buio è l’anticamera della fine, è un campo di sterminio, è un lager, un pozzo fondo fondo che ci tiene prigionieri.
E’ una vita vissuta senza speranza o senza progetti, senza condivisione e senza complicità.
E quello che tutti noi dobbiamo maggiormente temere.
Temere non di morire per avere vissuto, ma di vivere senza essere mai nati.
Se una persona vive in maniera scandalosa nel senso che la sua stessa presenza è motivo di denuncia per la comunità che l’accoglie, questa stessa comunità è chiamata a risponderne. Nel momento in cui la comunità lo ignora, la stessa comunità si rende colpevole della sua stessa infelicità.
Per questo Nessuno al mondo è innocente e siamo tutti colpevoli. La differenza è che c’è chi lo ammette e c’è chi non lo ammette. C’è chi lo comprende e chi non lo comprende.
Chi lo riflette e chi se ne fotte, perché ha priorità opposte e contrarie.
Quelli che oltre riflettere agiscono per cambiare le cose, sono quelli che entrano dalla porta giusta nella storia. Chi riflette soltanto senza arrivare a fare nulla, è come uno che sta per sempre fuori dalla stanza delle danze, senza mai decidersi a varcare la soglia.
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