Maria Teresa Gargano, Grazia Serantoni
Introduzione
L’intervento multifamiliare di gruppo, nell’ambito della cura della patologia psichiatrica, è conside-rato oggi uno degli strumenti più validi per contrastare il numero di ricadute e di ospedalizzazione in pa-zienti con schizofrenia (Dixon & Lehman, 1995; Dick et al., 2002; Pitschel-Walz et al., 2001), rivelandosi più efficace degli interventi familiari in setting individuale (McFarlane et al., 1995) e del gruppo di controllo (pa-zienti che non partecipavano al gruppo) (Dick et al., 2002; Bradley et al., 2006; Couchman, 2008). Il gruppo promuove anche il miglioramento del clima familiare e del ruolo sociale e comunitario (Jenner, 2003). È da sottolineare, tuttavia, che poche ricerche hanno valutato cambiamenti nella struttura di personalità del pa-ziente, l’effettivo sbocco occupazionale e la qualità della vita (Bradley et al., 2006).
L’esito misurato dalle ricerche ha riguardato anche diverse caratteristiche del sistema familiare. Hugen e collaboratori (1993) hanno riportato, ad esempio, che la partecipazione al gruppo diminuiva il con-flitto familiare. Più recentemente un trial interessante ha mostrato che il gruppo multifamiliare contribuiva a ridurre lo stress percepito dai familiari, ma non produceva effetti significativi nell’aumento delle risorse psico-sociali percepite (Hazel et al., 2004). In un altro studio, invece, su un campione cinese (Chien & Wong, 2007), i familiari che partecipavano al gruppo riportavano un miglioramento nel benessere psico-sociale. Questi risultati contraddittori indicano una mancanza di chiarezza su quali siano gli effettivi benefici perce-piti dai familiari (Corcoran & Phillips, 2000).
Restringendo l’approfondimento della letteratura empirica al territorio italiano, le ricerche presenti hanno valutato soprattutto il carico familiare (Magliano et al., 2006; Fulgosi, Rizzo, 2008; Bazzoni et al., 2003), evidenziando come nel gruppo d’intervento si registrava un minore carico familiare rispetto all’inizio e la percentuale dei parenti che riferivano di sentirsi imbarazzati quando entravano nei locali pubblici con il paziente diminuiva significativamente, dal 21% all’8%. (Magliano et al., 2006). Il gruppo promuove il miglio-ramento nel carico oggettivo e soggettivo percepito dai familiari e nell’aiuto nella gestione del paziente e nel sostegno pratico e psicologico da parte della rete sociale (Fulgosi, Rizzo, 2008). Il gruppo favorisce, allo stesso tempo, nei pazienti il miglioramento di alcuni aspetti del funzionamento sociale, come il coinvolgi-mento alla vita familiare e le relazioni sociali. Inoltre, nel gruppo dei pazienti trattati non vi sono stati rico-veri durante il periodo di osservazione (Magliano et al., 2006).
Questi studi hanno coinvolto il servizio pubblico, in setting ambulatoriale, considerando un arco di tempo di 6 mesi, a fronte di una durata di malattia di più di 5 anni nel 75% dei casi. Mancano, dunque lavori che valutino nel lungo termine, l’efficacia dell’intervento. Sia le ricerche in ambito internazionale che quelle
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nel territorio italiano hanno valutato l’intervento psicoeducativo multifamiliare, e non quello di ispirazione più strettamente psicodinamica.
Infine, nessuna delle ricerche presenti in letteratura, confrontava l’esito del trattamento multifami-liare con le variabili di processo di gruppo, come l’alleanza, la coesione, il clima percepito e più in generale, i fattori terapeutici di gruppo.
Sembra, dunque, evidente la necessità di valutare l’intervento multifamiliare, a conduzione psico-dinamica e a lungo termine, cercando di verificare quali effettivi benefici sono percepiti dai pazienti e dai familiari, nell’ambito della struttura di personalità e della qualità della vita da un lato, e nell’ambito del ca-rico familiare e del supporto sociale percepito dall’altro.
Rimane ancora da esplorare la relazione tra quelle variabili di processo più indagate nella ricerca in psicoterapia di gruppo (coesione, alleanza, clima) e le variabili di esito che riguardano sia il paziente sia i familiari.
Se da un lato la review di Lorentzen (2006) afferma che le ricerche sulla psicoterapia di gruppo a orientamento dinamico a lungo termine analizzano separatamente le variabili di esito e di processo, dall’altro sono aumentati gli studi che fanno correlare le misure di coesione, di alleanza e di clima con l’esito nella psicoterapia psicodinamica a breve termine (Lingren et al., 2008; Crowe & Grenyer, 2008; Din-ger et al., 2010) e interpersonale a breve termine (Joyce et al., 2007; Ogrodniczuk & Piper, 2003).
I risultati di questi studi hanno tuttavia, prodotto risultati contraddittori e la letteratura attribuisce la contraddittorietà di questi risultati al tentativo di isolare le variabili dalla relazione, utilizzando diversi strumenti di indagine e mutuando metodologie statistiche nate all’interno di altri paradigmi di ricerca (Gar-gano et al., 2009). Lo sforzo di individuare la direzionalità tra alcune variabili del paziente, come il quadro sintomatologico, le funzioni metacognitive o i meccanismi di difesa e variabili più legate al processo dinami-co, come l’alleanza terapeutica, la coesione, rischia di produrre inevitabilmente risultati contraddittori e giustapposti (cit.).
Ancora oggi non è ben chiaro, ad esempio, se elevati punteggi iniziali di coesione e di alleanza siano legati in modo significativo all’esito della terapia di gruppo (Martin, Garske, & Davis, 2000; Horvath & Bedi, 2002).
Una recente ricerca (Joyce, Piper, & Ogrodniczuk, 2007) poneva a confronto l’alleanza terapeutica e la coesione, nella loro capacità di predire l’outcome, in un gruppo a breve termine a orientamento inter-personale, di 12 sedute. Dai risultati è possibile notare come l’alleanza valutata dal paziente dimostrava possedere una significativa predittività rispetto all’outcome, sebbene anche alcuni aspetti della coesione influissero sui risultati ottenuti. Da questo studio, dunque, in termini di semplice relazione, l’alleanza con il terapeuta sembrerebbe essere maggiormente associata con l’esito rispetto alla coesione. Il campione era composto da pazienti con diagnosi in asse I (73%, di cui un 50% circa depressione maggiore); diagnosi in as-se II (55%).
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