Non è semplice descrivere il Male. Lo vedi, lo riconosci, ma non puoi raccontarlo. Ruoti attorno al nucleo della sua essenza come una stella morente orbita attorno a un buco nero, ma quando tenti di spiegarlo il pensiero soccombe.
Il paziente era arrivato la sera prima, un signore del sessantadue con un tumore al polmone metastatizzato a livello della colonna vertebrale. Le migliaia di sigarette fumate nei suoi cinquantatré anni di vita avevano presentato il conto. In cartella si parlava anche di un'imprecisata epatopatia, ma in quel momento il fegato sembrava il minore dei suoi problemi. Nel diario clinico del pomeriggio e della notte appena passata non venivano segnalati problemi particolari, il paziente era tranquillo e stabile.
Io sono in infermeria a esaminare la documentazione con una certa tranquillità prima di andare a conoscerlo quando suona il campanello della sua stanza. Ad attivarlo è stato il vicino di letto, un uomo zoppicante per un'ischemia a una gamba apparentemente tutto d'un pezzo ma in realtà molto instabile emotivamente. Gli OSS vanno verso la stanza mentre io mi alzo e cerco di capire che sta succedendo. Inizio a camminare e sento il vicino di stanza urlare: riconosco le parole "sangue" e "bocca". Varco la soglia della stanza correndo.
Siamo in quattro: io, l'infermiera e due OSS. Dell'uomo che sta sul letto vedo qualche tatuaggio sulle braccia scoperte, scampoli di maglietta e le mani che stringono le sponde come fossero salvagenti. Il resto è una visione rosso scuro: ogni cosa è inondata di sangue. Da quella che in un essere umano viene chiamata bocca escono grosse bolle che esplodono come bubboni e un suono atroce, un gorgoglio vischioso, lacerante come una falce. La bocca si apre e chiude in cerca d'aria e così si muovono anche gli occhi, ruotano in ogni direzione a cercare un appiglio, una redenzione. Io inizio a tamponare il sangue e penso che serva un aspiratore, mentre l'infermiera mi chiede se ho bisogno di qualcosa. Sì, serve un aspiratore, ma in realtà non serve più. L'emorragia dà un attimo di tregua, un attimo solo, poi assesta un ultimo colpo. Le mani lasciano la presa sulle sponde, gli occhi smettono di vorticare e mostrano il bianco, il gorgoglio diventa una specie di sbuffo, ed è tutto finito. C'è sangue ovunque, l'impressione è che tutto il sangue di questo povero cristo sia finito sulla sua maglietta, sul letto, sulla divisa dell'infermiera e degli OSS, sul mio camice. Cala un silenzio infernale che dura più o meno una decina di secondi quando un OSS bussa per avvisare dell'arrivo dei parenti, a cui sarà mio dovere comunicare l'inaspettato decesso del fratello.
Inizio a elaborare un discorso riguardante a quello che molto probabilmente è accaduto, vale a dire una rottura delle varici esofagee, grossi vasi deformati che si sviluppano a livello dell'esofago quando il fegato cirrotico, simile a una grossa spugna dura come una pietra, non riesce più a drenare il sangue proveniente dall'intestino e lo costringe quindi a trovare una via alternativa, evidentemente l'epatopatia segnalata era più grave di quello che si pensava e quindi nessuno poteva prevedere un evento così catastrofico, cerco di impostare un tono tranquillo ma deciso, cerco di alienarmi un poco e soprattutto cerco di scordare per un secondo quel gorgoglio, la voce di un uomo che mi chiedeva di salvarlo. Poi mi dedico al vicino di letto che non scorderà quella scena splatter per il resto della sua vita, e mi rendo conto di avere bisogno come lui di essere medicato, forse più di lui.
Lascio il reparto un'ora dopo, e mentre il cervello gira a vuoto l'autoradio inizia a parlare di un prete che nomina Satana per descrivere le coppie omosessuali e del tour della salma di padre Pio. In quel momento penso che il Male è necessario. Serve a mettere le cose nella giusta prospettiva. E potrebbe servirti molto, caro prete invasato. Perché credo che tu non abbia mai visto morire un uomo soffocato nel suo sangue, perché credo che tu non abbia mai visto il Male.
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