Vasco Patolini , Firenze – La sera della Madonna – Le rificolone

Da Paolorossi

Firenze – Le rificolone

Era questa, un’usanza venuta in onore il 7 settembre 1673, allorché i viennesi vollero ringraziare con lumi e cori la Madonna che li aveva aiutati a liberarsi dai turchi assediatori: usanza discesa, valicando le Alpi e gli Appennini, insieme ai viennesi diventati, a loro volta, assediatori della nostra gente. Tolti gli assedi e data ai viennesi, tedeschi e razza loro l’ultima lezione con la guerra del ’15-18, rimaneva il retaggio della festa antica, eco di una dominazione che se fu implacabile dové essere anche, in qualche modo, allegra. I tardi nipoti fiorentini vi apportarono l’inconscia rimebranza delle luminarie rinascimentali, quando i galeoni fluviali e imbelli di Lorenzo percorrevano l’Arno con liuti e viole, madonne e messeri, e il Poliziano a prua che improvvisava versi che la posterità ha perduto. Rimase la consuetudine della festa della Madonna per cui, una volta l’anno, alla sua data, ogni palazzo o bicocca, ogni strada signorile ed ogni vicolo, ha la sua luminaria alle finestre. Sono le antiche lucerne del Trecento, sono globi di vetro e “bicchierini”, dentro i quali è acceso uno stoppino sorretto da un sughero navigante in uno strato d’olio. Dai merli di Palazzo Vecchio torce accese sfrigolano alla brezza; su tutte le altre torri e palazzi della città, non c’è bifora che non faccia “lume”. La Cupola pullula di fuochi fatui che il vento accende e spenge. Sul fiume, barche e barconi, sandolini e scafi dei Canottieri sono carichi di allegre compagnie, due volte luminose sullo specchio dell’acqua. Accompagnano il loro andare, lento e ridente, suoni di mandolini, intere “pippolesi”. E nelle strade, ovunque, i cortei delle “fiericolone”, a cui il tempo ha reso il nome più cristiano e dato fogge diverse e fantasiose.
[…] Voi oziate per le strade, via Tornabuoni o via del Corno, quadrivio o suburra, e vedete, appesi alle canne, alti sulle teste, vasi da notte illuminati, cappelli da prete, cilindri di diplomatico, vespasiani da liliput, trofei di frutta, cesti d’insalata, per creare i quali è bastata carta velina, tinte da due  centesimi, liste di cartone che formano l’armatura, una ditata di colla e un fondo di candela e l’allegra fantasia di un popolo che ha secolare dimestichezza con le arti, un esercito di Maestri usciti dalle sue file. Dei quali ultimi, o onor del vero, conosce appena le statue ottocentesche ritte in piedi nelle nicchie prospicienti il Loggiato degli Uffizi.
[…] Scorrazzano instancabili, per le vie e piazze, le rificolonate, con canti, strepiti di grida, di arnesi vibranti su latte vuote, frammezzo all’armonia dei mandolini e delle chitarre. Ogni tanto un ondeggiamento più forte, o il moccolino giunto a consumazione e non sostituito a tempo, infiammano la rificolona che divampa all’improvviso fra gli urli e i salmi che la brigata eleva parodiando le preci dei defunti.

Ona ona ona,
oh che bella rificolona!
La mia l’è coi fiocchi,
la tua l’è coi pidocchi!

( Vasco Pratolini, Cronache di poveri amanti )

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