Forse, parlare di svolta metal è un po’ azzardato. Quando si tirano in ballo certi generi si rischia di urtare la suscettibilità di chi l’etichetta di “metallaro” la sfoggia con orgoglio da anni. Una cosa è certa però: se è vero che la band di Vasco ha poco ha che vedere con Black Sabbath o Dream Theater, dal palco esce un bel sound energico ad uso e consumo della “combriccola”, con tanto di scaletta e ritmica spietate. Il tutto, supportato da un’amplificazione potentissima e un mix di luci e colori che letteralmente trasformano gli stadi di Roma e Milano. Tutto questo è «Live Kom 014» con ben sette date al sold out (o giù di lì) tra Olimpico e San Siro con ben 400mila spettatori. Il palco è uno spettacolare mostro tecnologico di 800 metri quadri con due megaschermi laterali e uno centrale.
L’elemento centrale è la «V»: sulla «V» è costruita la scenografia centrale e a «V» è la passerella che si protende tra la folla. Questo elemento nasce dalla voglia di nuovo e da un desiderio di precisione nella musica: ecco il motivo della scelta di un chitarrista ritmico come il giovane Vince Pastano e di un batterista come Will Hunt, preso in prestito dagli Evanescence, un gruppo al confine con tra rock e gothic metal. Hunt, di fatto, è un picchiatore biondo che non dà tregua, dispensa sessanquattresimi con la doppia cassa (quella sì che è metal) e cambia radicalmente il sound complessivo. Steff Burns, è un “animale da palco”: ora che non c’è più Solieri è libero di spadroneggiare sulla scena. Vasco strizza un occhio al pubblico nuovo e questo lo si vede dal modo di cantare. Per la prima parte del concerto, pezzi energici come “Gli spari sopra” e grandi classici di sempre, lasciano spazio a “Muoviti!”, “La fine del millennio”, “Come stai”, “Manifesto futurista …”.
La musica è una corsa implacabile, senza respiro, molto arrangiata, con unisoni di chitarra e i consueti stacchi metal. C’è pure spazio per il ripescaggio di “Strega”, un brano che suonava negli anni ’80, prima di “Dannate nuvole” e “Sballi ravvicinati del terzo tipo”. Da questa incontenibile voglia di sonorità alternativa esce fuori una versione formidabile di “C’è chi dice no”. Col passare dei brani (lo show dura oltre due ore e mezza) comincia a riemergere il Vasco più classico: prima un medley rock a base di “Cosa vuoi da me”, “Gioca con me”, “Delusa”, “Mi si escludeva”, “Asilo»”, poi si va verso la conclusione della prima parte che arriva con “Liberi liberi”. Con i bis il cambio di registro è così marcato da dare l’impressione di un nuovo inizio: spazio ai classici e a un’atmosfera più distesa. Non si va a più a tremila, Vasco mette nelle interpretazioni tutta l’intensità di cui è capace e “Sally” ancora una volta fa stringere il cuore prima del grande rito collettivo celebrato con “Siamo solo noi”, “Vita spericolata” e “Albachiara”. Dopo due ore e mezza la gente può tornare a casa contenta. Vasco si lascia alle spalle tre date a Roma e due a Milano. Domani e giovedì i concerti conclsuivi di questa mini-tranche ancora a San Siro, il suo stadio prediletto. (fab.i.)