Vatman, il cavaliere oscuro. Intellettuali in copertina (di Guido Vitiello)

Creato il 27 marzo 2012 da Wally26

Dall’eccelso blog diGuido Vitiello

Nella primavera di qualche anno fa gli abitanti della capitale trovarono nella cassetta della posta un sublime volantino dipietrista: il 21 maggio 2009, ore 17:30, Gianni Vattimo, candidato indipendente al Parlamento europeo con l’Italia dei Valori, incontra la società civile all’Hotel Palatino di via Cavour. Partecipa il Sen. Stefano Pedica, intervengono in diretta l’On. A. Di Pietro e Sonia Alfano. “È gradita la partecipazione di associazioni e comitati per un dibattito teso ad affrontare temi e spunti per un mondo migliore”. A seguire, proiezione di un film di fantascienza, forse di fantascienza debole, già che il protagonista attraversa “un mondo che potrebbe essere o non essere la realtà”. La citazione di Vattimo scelta per l’occasione confermava l’appartenenza del filosofo alla stirpe dei supereroi, sottospecie oltreuomini nietzschiani: “Sconfitto in tutti i luoghi del mondo*, non mi sono mai sentito così libero. Su tutto io ho cercato la libertà. Per me. Per gli altri”. E da grandi poteri, lo sappiamo da Spiderman, derivano grandi responsabilità. Sul volantino, con deferente scappellata contadina, Vattimo era presentato come uno “tra i maggiori filosofi del mondo. L’incontro, coerentemente, s’intitolava: “Verso che mondo?”.

*Infatti non se lo fila piu’ nessuno,  nemmeno in America…

Quella costellazione prodigiosa – il pensiero debole, la fantascienza, il Molise – riaffiora oggi come per magia sulla copertina di un libro, Una filosofia debole. Saggi in onore di Gianni Vattimo (Garzanti), un Festschrift di un mezzo migliaio di pagine a cura di Santiago Zabala. La fotografia di copertina è di quelle da ammirare per ore, ipnotizzati. Il filosofo, avvolto in un ampio cappotto nero, quasi una cappa o un mantello, scruta fisso davanti a sé verso chissà quali lontananze. Ha il gomito appoggiato su un muretto di pietra, alle spalle la campagna verdeggiante. È una figura romantica, un “Viandante sul mare di nebbia” di Caspar David Friedrich, solo visto da davanti. L’ho mostrata ai miei amici e conoscenti, ed ecco i loro responsi: uno ci vede il Nosferatu di Werner Herzog; un altro il “pensiero Lebole”; un altro ancora il professor Severus Piton della saga di Harry Potter; un’amica sceneggiatrice assicura che hanno fatto l’impossibile per farlo somigliare a Colin Firth, e che lo sfondo di verdura fa molto Orgoglio e pregiudizio. Vampiro, stregone, gentiluomo di campagna. Ma la verità è che Vattimo, qui, è semplicemente un supereroe: è Vatman, il cavaliere oscuro.

Qualcuno, un giorno, dovrà prendersi la briga di studiare le foto di copertina delle nostre popstar culturali, con tutti gli strumenti messi a disposizione dall’iconografia e dalla storia dell’arte. Perché, per esempio, Eugenio Scalfari pare esistere nella sola dimensione del bianco e nero? Non si può avere uno Scalfari a colori? E qual è il nesso tra lo Scalfari accigliato di L’uomo che non credeva in Dio, profilo severo che sembra sbalzato da una moneta romana antica, e lo Scalfari garbatamente perplesso di Per l’alto mare aperto, con i capelli quasi scompigliati e un dito vezzosamente in bocca? La stessa duplicità – castigatore inflessibile dei costumi e giocherellone da fase orale-narcisistica freudiana – si può osservare comparando Il rompiballe (Marco Travaglio intervistato da Sabelli Fioretti) e Il rompiballe. Un anno dopo: nel primo, in un bianco e nero più scultoreo che fotografico, l’ex giornalista del Borghese è un monumento equestre che guarda negli occhi il nemico che arriva, pronto a stenderlo a colpi d’archivio e di nomignoli scemi; nel secondo gioca con i suoi boccoli (ma nella foto che si è scelto per il sito del Fatto (Quotidiano) tiene – o delizia! – il mignolo in bocca: quasi un plagio scalfariano). E ancora: perché i nostri divi del noir, da Carofiglio a Faletti, si fanno ritrarre sempre dietro cappottoni neri e baveri rialzati? E che colpa hanno, in tutto questo, le foto di Dino Pedriali a Pier Paolo Pasolini, con tutte quelle pose pensose, quelle emicranie, quelle penombre caravaggesche, quelle camiciole? Sarebbe bello se a queste domande potesse rispondere Edmondo Berselli; in sua assenza toccherà reclutare un team di studiosi.

Anni fa Alfonso Berardinelli aveva definito l’intellettuale “l’eroe che pensa”. Davanti a questa galleria di ritratti, però, torna più utile il Che sta pensando quiz di Arbore e Frassica a “Indietro tutta”, quel gioco a premi dove gli spettatori dovevano indovinare i pensieri reconditi di un filosofo scarmigliato in abiti romantici, che da dietro i suoi occhialetti lanciava uno sguardo tra il metafisico e l’ittico. L’eroe, che pensa?

Articolo uscito sul Foglio il 6 marzo 2012 con il titolo Vatman re delle popstar letterarie, buffa vanità dell’eroe che pensa.


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