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Vecchi merletti

Creato il 28 gennaio 2011 da Cultura Salentina
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Donne al lavoro di ricamo (Arch. T. De Simeis)

Apro una vecchia cassapanca nella casa dei nonni. La stanza è in penombra, la luce fioca di una giornata di fine maggio, rende più magico il mio impatto con quello scrigno di ricordi, come se, protetta da quel chiarore indiscreto, conservasse il mistero di ciò che contiene.

Sollevo il coperchio poggiandolo sull’assicella di sostegno all’angolo, e, con delicatezza quasi religiosa comincio a toccare gli involucri di carta ingiallita, mezzo logorata dall’umidità e dai tarli che ne hanno fatto dimora per  chissà quanti anni.

L’essenza è inconfondibile, mista all’antico della lavanda e all’acre delle fibre legnose, nasconde benissimo il fastidioso e logoro odore di vecchio, racchiuso tra i ripiani e tra i pacchetti.

Quel profumo mi ricorda immagini di un tempo, narrate per brevi istanti, incastonate l’una all’altra attraverso minuziosi particolari che fanno da collante, quasi legate al filo impercettibile della tradizione, che tramanda di generazione in generazione, che affida alla voce della vita vissuta l’esperienza, la storia e le emozioni.

Scarto piano uno dei pacchetti: viene fuori, un centimetro per volta, il lembo trasparente di una trina antichissima, gialla dal tempo ma ancora intatta nella trama, forte del lavoro di quelle mani sapienti e pazienti che ne hanno reso possibile la corposità: un gioco prezioso di intrecci di cotone e passaggi di uncinetto cha hanno accompagnato lunghissime serate, meriggi freddi accanto al camino, nell’attesa che gli uomini tornassero dai campi, e hanno reso l’incanto di quel tratto di arte quotidiana che adesso affascina col suo stile d’altri tempi.

Il corredo: immancabile eredità di ogni ragazza, di ogni donna, insostituibile ricchezza che accompagnava ogni sposa, impagabile opera d’arte che svegliava l’invidia di tutti, che ritagliava spazi diversi per ceti diversi, che destava emozioni, che metteva in moto la fantasia, i ricordi, che commuoveva gli occhi delle nonne, che faceva sognare.

Un insieme di stoffe pregiate, di lini impeccabili, piegati nella perfezione millimetrica delle cuciture ornate col punto a giorno, con gli intagli più ricercati, con il filet più raro, il punto assisi o i ricami più ambiti.

Tende dalle trasparenze invidiabili, dalla morbidezza ineguagliabile dettata da tessuti d’altri tempi, dai colori che avrebbero giocato con i riflessi dei vetri lucidati a specchio, e che avrebbero reso la luce del sole ancora più dolce e soffusa.

Lenzuola immacolate, screziate dai ricami più lievi, colorati pastello, quasi a rendere i sogni più tenui e le notti senza ombre; federe vellutate, fresche, personalizzate con le iniziali della sposa, ancora intatte, precise nei contorni; asciugamani setosi, dalle frange fatte a mano, strofinacci in lino grezzo di colore ecru’, con cui si asciugavano le stoviglie di porcellana antica e le pentole in alluminio, lucidate a mano, con la cenere calda.

E camicie da notte, tovaglie, centrini e pizzi, trine, sottobicchieri, copriletto e tovagliette, piccole lenzuola e panni per i bimbi a venire.

Un pacco, due e molti altri ancora, riposti con amore, cura e che possiedono la seduzione delle cose di una volta, semplici e inestimabili.

Sembra superfluo scartare, quasi il tatto, dall’esterno precede la vista, l’anticipa, come se nulla fosse cambiato, come se il tempo non fosse passato a segnare il distacco, a darci il senso della modernità, di quei gesti, oggi superflui, ma che hanno intarsiato il nostro passato, come pezzi di un mosaico dai colori sfumati, ormai appassiti. Mi pare di riascoltare i racconti di un tempo, sotto i porticati al fresco, le sere d’estate, quando, per smaltire il caldo delle lunghe giornate, ci si riuniva con tutta la famiglia dopocena, e le nonne o le zie più anziane riprendevano la loro vita laddove l’avevano lasciata la sera prima, e noi, ragazzi, estasiati, affidavamo all’immaginazione la conoscenza.

Dicevano che preparare il corredo fosse un momento importante, che ogni madre vi si dedicasse a tempo pieno con l’aiuto, spesso, delle vicine di casa o parenti prossime, e che tutto dovesse essere fatto nella maniera più meticolosa, con la massima precisione, la sposa doveva portare con sé una dote senza eguali, era ogni volta così, e per ogni sposa era sempre qualcosa di diverso, di più bello di quello precedente.

Così si viveva quel sogno, nella frenesia dei preparativi che iniziavano persino al momento della nascita di una figlia femmina, per concludersi molti anni dopo e per poi ripetersi nella generazione successiva.

Niente è come allora: di quell’amore ora ci resta il profumo, qualche indumento conservato gelosamente in qualche cassetto, custodito per farne documento di vita, di tradizione culturale, come se la storia che lo ha visto protagonista, fosse diventata soltanto una narrazione scontata, a cui non si presta nemmeno troppa attenzione.

I nostri figli non avranno le nostre stesse emozioni, e i nostri racconti, a loro, sapranno di vecchio, di finto, di un mondo di cui non avranno avuto neppure il sentore, che li ha appena, appena sfiorati, che possono a mala pena guardare attraverso i nostri occhi, ma dal quale si sentiranno sempre estranei.

Sono ancora qui a pensare mentre intorno a me si è fatto buio, la luce del tramonto ha lasciato il posto ad una serata fresca e piacevole, dalla finestra si intravede la luna che con il suo chiarore intenso ricorda l’arrivo dell’estate, quando, la sera, si guarda il cielo ed il calore del giorno ci spinge a far l’alba, per godere il piacevole tocco della notte.

Nella nostra terra è ancora tutto molto bello, si respira un’aria speciale, ci si sente immersi in un mondo, a tratti, ancora incontaminato, si sorride di più e più volentieri.

Ma quando spegniamo tutto per andare a dormire, l’eco antica fa capolino, e, le nostre notti, di grilli e lucciole, sognano, ancora adesso, quelle sere nei portoni di cui sentiremo sempre il calore e la nostalgia.


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