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Della geografia del “Re in giallo” originale, il libro maledetto descritto da innumerevoli scrittori in tutte le epoche, sono giunti a noi solo pochi insignificanti particolari. Avevamo chiuso il post precedente ribadendo l’ipotesi, tutt’altro che azzardata, che i luoghi del Re in giallo potessero appartenere ad una dimensione alternativa alla nostra. Siamo venuti a conoscenza da Robert W. Chambers dell’esistenza del lago di Hali, sulle cui acque si specchierebbe un’antica città conosciuta come Carcosa. Sappiamo dalle parole dello stesso scrittore che il paesaggio circostante sarebbe illuminato di giorno da due soli gemelli e che la notte questi ultimi lascerebbero il posto a stelle nere e a strane lune rotanti nel cielo. Sappiamo che ad un certo punto della sua storia Carcosa cadde (o cadrà) in disgrazia, ma non sappiamo se questo accadde (o accadrà) in un tempo passato o nel futuro. Ricordate le parole che Ambrose Bierce fece dire ad un suo personaggio dinanzi alla lapide che riportava il suo stesso nome? Egli disse “Ed improvvisamente, allora, capii che quelle erano le rovine dell’antica e famosa città di Carcosa.” Un uomo dinanzi alla sua tomba è evidentemente un paradosso temporale, non vi pare? Era quindi il passato o il futuro, quello a cui assistette la caduta di Carcosa? Dobbiamo guardare verso una diversa dimensione spaziale o temporale? O entrambe? E cosa c’entra in tutto ciò Giorgio De Chirico, l’indiscusso padre della pittura metafisica? Per scoprirlo non ci resta che spostarci a Ferrara, la città emiliana dove la scuola metafisica di De Chirico nacque e crebbe.
Metafisica, ovvero l’esperienza che trascende l’uso dei cinque sensi a noi noti. Metafisica, ovvero un universo che non si adegua alle leggi fisiche che conosciamo. Metafisica, uno stato alterato di coscienza che consegue la perdita di coscienza come noi la conosciamo. Metafisica, ovvero il pensiero irrazionale che espande l’orizzonte del razionale e lo prevarica. Giorgio De Chirico aveva in mente tutto questo quando, per primo, cercò di rappresentare l’irrappresentabile, di mostrare la materia soggetta a forze misconosciute, quando per primo spalancò per noi una finestra su un universo nuovo, sconosciuto, al di là del tempo e dello spazio. Un luogo reale o irreale? Il geniale Pictor Optimus era forse giunto a vedere oltre ciò che noi normalmente vediamo? Con che cosa davvero ebbe a che fare Giorgio De Chirico? Cosa lo ispirò a tal punto? "Abbiamo compiuto il rito saturnino con Giorgio. Come pensavo, lui è un grande catalizzatore, a cui è concesso il dono oracolare, che esercita con la pittura […] De Chirico ha ritratto mirabilmente ciò che il rito ha mostrato, come altri non hanno mai fatto prima. Il ragazzo ha talento, ma è rimasto spaventato da noi e da ciò che ha visto. Se ne è fuggito la mattina seguente, in fretta e furia, lasciando qui ciò che ha disegnato in questi pochi giorni. Sorprendentemente i suoi stessi dipinti hanno una forte aura medianica, simile a quella dei nostri oracoli rituali. Li conserveremo nel tempio segreto, a memoria di ciò che solo raramente possiamo ammirare".
Giorgio De Chirico aveva quindi visto Carcosa? Sarebbero di Carcosa quelle architetture che abbiamo visto migliaia di volte rappresentate nei suoi dipinti, quelle prospettive costruite secondo innumerevoli punti di fuga incongruenti tra loro? Sarebbero abitanti di Carcosa quelle strane figure dalle ombre così lunghe, troppo lunghe rispetto agli orari del giorno rappresentato? Sarebbero abitanti di Carcosa quelle figure senza volto e quegli "architetti" con le gambe troppo corte rispetto al corpo? È in quelle atmosfere innaturali, in quei contrasti di luce e oscurità, che risiede quindi Carcosa? E da cosa è causata quella sensazione di sospensione e di straniamento che ci coglie quando guardiamo quelle immagini?La risposta a tutte queste domande cerca di darcele un giovane scrittore italiano ben noto nell’angolo di blogosfera a noi più prossimo. Il personaggio in questione scrisse anni addietro un breve racconto dal titolo “Veduta di Carcosa”, un racconto di cui anche i suoi lettori più affezionati forse ignorano l’esistenza, un racconto di cui lui stesso non parla più da secoli, quasi come se, per qualche misteriosa ragione, avesse deciso di consegnarlo all’oblio.Eppure da “Veduta di Carcosa” emerge un’idea affascinante, quella di un De Chirico esoterico alle prese con il culto di antiche divinità ormai dimenticate. Il pittore italiano sarebbe stato, secondo il suddetto scrittore, iniziato ai cosiddetti “culti saturnini”, attraverso i quali sarebbe stato testimone di orrori indicibili. I suoi dipinti, quelli che oggi classifichiamo come pittura metafisica, altro non sarebbero che la testimonianza terrena di quelle sue incredibili esperienze.
Tra i piccoli gruppi di paganesimo moderno, se ne presume uno, molto misterioso, stanziato nel ferrarese. Diverso dagli altri culti politeisti, si tratterebbe di una setta enoteista incentrata su Saturno, divinità romana dell’agricoltura. Il suo corrispettivo greco, Crono, divorò i suoi figli, prima di essere sconfitto da uno di essi, Zeus. Da alcuni documenti appartenuti a questa setta, è possibile intuire che dietro a Saturno si celi in realtà la venerazione di un’antica divinità pre-ellenica, Hastur l’Indicibile. Il rito saturnino non è da confondersi coi più noti saturnali, le antiche festività romane in onore del Dio dell’agricoltura. Il rituale semisconosciuto di cui lei mi domanda è di un periodo più tardo. Pare che si riferisca a un’evocazione oracolare atta ad aprire una finestra sulla dimensione dove, secondo i celebranti, gli Antichi Dei sarebbero esiliati dall’affermazione del cristianesimo come nuova religione dell’Impero. (cit. Veduta di Carcosa)
Ma chi era davvero Giorgio De Chirico? Secondo la sua compagna Isabella Far (cit. Monografia del 1968 dedicata al compagno) De Chirico “conosceva le difficoltà che, per un pittore dell’epoca nostra, rappresenta la ricerca dei segreti degli antichi maestri, i segreti della scienza pittorica. (…) Per giorni interi, alzandosi a volte perfino di notte, come un alchimista nel suo laboratorio, cercava la materia meravigliosa. Il grande problema, il grande mistero erano gli ingredienti e il loro dosaggio preciso…”. Alla luce di queste parole si potrebbe azzardare una reinterpretazione delle opere di De Chirico tentando la strada del simbolismo alchemico. A conferma di ciò, vi rimanderei alla consultazione della rivista online Engramma, dove viene suggerito che “l'opera pittorica dechirichiana potrebbe essere interpretata come rivelazione di un itinerario iniziatico, poiché un gran numero di sue tele presentano continuamente, già dai primi anni di Monaco e Parigi, celate con sapienza, allusioni e analogie con la sterminata iconografia dell'Ars Regia.” C’è tutto un mondo da esplorare, ma il rischio è quello di uscire eccessivamente dal seminato. Lungi da me, oltretutto, inerpicarmi sul terreno sdrucciolevole dell’alchimia e della libera muratoria per cui, se me lo permettete, tornerei alle “visioni” che De Chirico (o meglio, la sua versione letteraria) ebbe nel corso dei sopra citati riti saturnini, riti che gli permisero di ritrarre mirabilmente ciò che gli fu mostrato ma che, in seguito, lo terrorizzarono al punto dal farlo fuggire.
Ma cosa vide De Chirico? E come riuscì a vedere ciò che vide? Questo ce lo spiega lo stesso artista, il quale, in un’autentica del 2 marzo 1976, scrive: “Alcune immagini metafisiche appaiono tra il sonno e la veglia, quando non si è proprio addormentati. L’immagine nell’aspetto fisico procura sempre una gioia mista a sorpresa. Ma salvo l’aspetto metafisico che hanno certe città come Torino, gli aspetti metafisici più ricorrenti appaiono sempre in una stanza nella quale sul fondo compare una finestra. Questi oggetti metafisici hanno sempre aspetti geometrici ben definiti: triangoli, rettangoli, trapezi, qualche volta si intravede anche la sagoma di un tempio”(cfr. De Chirico, Memorie della mia vita, Bompiani, Milano 1998). L’attimo che separa il sonno dalla veglia è quindi la chiave? La via di accesso per Carcosa si trova forse a metà strada tra il conscio e l’inconscio? Da qualche parte nel luogo, o nel momento, di passaggio tra l’esperienza onirica (la realtà rimossa) e l’esperienza cognitiva (la realtà lucida)?La lettura di “Veduta di Carcosa” fornisce delle risposte, anche se ovviamente non tutte. Cercheremo di saperne di più ponendo alcune domande direttamente all’Autore nei prossimi giorni. Come dite? Di chi stiamo parlando? Davvero non l’ho ancora detto? È uno scrittore che probabilmente tutti voi conoscete bene, il cui blog Plutonia Experiment si trova quasi certamente anche nel vostro blogroll. Ladies and Gentlemen, tra pochi giorni qui sul blog avremo come ospite Mr. Alessandro Girola.
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