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Vegliate: non sapete quando il padrone di casa ritornerà

Creato il 26 novembre 2011 da Ambrogio Ponzi @lucecolore
Vegliate: non sapete quando il padrone di casa ritornerà
 1a Domenica
di AVVENTO anno B Vangelo  Mc 13, 33-37Vegliate: non sapete quando il padrone di casa ritornerà.

Dal vangelo secondo Marco In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Fate attenzione, vegliate, perché non sapete quando è il momento. È come un uomo, che è partito dopo aver lasciato la propria casa e dato il potere ai suoi servi, a ciascuno il suo compito, e ha ordinato al portiere di vegliare. Vegliate dunque: voi non sapete quando il padrone di casa ritornerà, se alla sera o a mezzanotte o al canto del gallo o al mattino; fate in modo che, giungendo all’improvviso, non vi trovi addormentati. Quello che dico a voi, lo dico a tutti: vegliate!». - Parola del Signore
  • Impostiamo la riflessione su due domande:
    1. Qual è il significato della parabola dell’uomo che parte, va lontano e torna all’improvviso? A noi cosa dice oggi?
    2. Cosa significa che ‘lascia a ciascuno dei suoi servi un compito’?
Vediamo la parabola nel suo insieme.
  • Qual è il messaggio legato alla partenza di quest’uomo che poi ritorna all’improvviso?
Il messaggio è questo: i discepoli di Gesù, e quindi anche noi, vivono un’esperienza dentro una tensione a volte dolorosa e comunque impegnativa: credono in Gesù, ma Gesù non lo vedono. E questo succede anche per noi. Ci sono dei segni molto belli, però noi viviamo in una certezza che, in apparenza, è anche assenza, finché non arriverà il giorno in cui lo vedremo faccia a faccia. Il nodo della parabola e della nostra esperienza di uomini è credere in Gesù e nello stesso tempo non poterlo sentire, vedere, toccare. Il Signore dice: tutto questo è dentro la logica del regno, perché, se vogliamo cogliere con umiltà la risposta, è come se fossimo messi alla prova riguardo la nostra fede, la nostra carità e la nostra responsabilità. In Giovanni c’è questa espressione molto illuminante: noi viviamo tra il 'già' e il 'non ancora'. Il già vuole dire che abbiamo avuto, e l’abbiamo tutt’ora, un’esperienza nel Signore tale da legare il nostro cuore. Insieme però avvertiamo che c’è qualcosa che non possediamo. Giovanni, nella frase citata, dice che possiamo pregustare la carità come dono, condivisione e comunione, che possiamo fare esperienza della verità che riguarda Dio e l’uomo tanto da poter desiderare la pienezza che ancora non abbiamo. Questa è la situazione che viviamo, senz’altro impegnativa, ma anche a volte motivo di tormento e di purificazione. Il brano di vangelo dice che questo signore parte per ritornare. Tra la partenza e il ritorno egli lascia uno spazio di tempo che corrisponde alla vita come oggi ci è data, con un tempo per dire di sì e un tempo per avere il dubbio, perché non lo vediamo faccia a faccia. Il tormento è la bellezza della fede: desidero, perché sento la verità di Gesù e della sua proposta; ma al tempo stesso sono come sospeso. E nel tempo c’è chi ha il dono di questa maturazione. Anche i santi vivono questo tormento che consiste nel non poter toccare con mano colui che invece vorremmo avere, perché sentiamo che lì c’è la vita, una vita che siamo già in grado di pregustare. Punto di riflessione per noi è allora avvertire la bellezza e la verità di qualcosa che vorremmo possedere, mentre il Signore ci dice che questo momento del possesso arriverà più avanti. Oggi allora viviamo un cammino di responsabilità e di purificazione. Nessuno è obbligato, è una luce da raccogliere e accogliere. C’è un ulteriore particolare: il desiderio che il credente ha nella fede è tale da invogliarlo, da appassionarlo ad impegnarsi fino in fondo per approfondire. Il desiderio di incontrare Gesù è il 'già' perché nel 'già' c’è motivo sufficiente e fondato per desiderare la pienezza. L’esperienza dei rapporti umani dice qualcosa di simile. Una persona può avere caratteristiche interessanti che ci affascinano e questo può essere motivo per cercarla, ma è diverso il possederla dal desiderio di incontrarla. Allora capite perché la chiesa dedica un tempo liturgico all’Avvento: per aiutarci ad approfondire, per riflettere sul fatto che noi siamo in attesa, che noi siamo attesa. L’ Avvento è un tempo di attesa, ma rivela soprattutto un modo di vivere la vita. Noi domenica entriamo nel tempo di Avvento, però la nostra vita dovrebbe essere tutta un avvento, cioè il cristiano è caratterizzato dal fatto che tende a questo incontro che è già iniziato con l’esperienza della fede, speranza e carità, e che troverà il suo culmine alla fine dei tempi che non sappiamo quando arriverà. Il padrone che parte è la figura dell’incontro iniziale del nostro cammino e al tempo stesso segno dell’incontro finale, quando ci sarà il suo ritorno alla fine dei tempi. I Padri della chiesa affermano che il cristiano è uno che sa attendere, uno che nella sua vita vive l’attesa. Se non ci fosse questa attesa, vivrebbe o nella disperazione o nell’indifferenza totale; e questo lo porterebbe ad ubriacarsi con l’attaccamento al presente e alle cose. Siamo allora invitati e aiutati dalla liturgia a ravvivare la tensione verso il giorno del Signore. Per fede voglio accettare che Lui verrà, alimentando l’attesa e il desiderio di vivere questo incontro che spero e desidero fin da oggi.
  • Il padrone dà a ciascuno un compito. Questo vuol dire che l’attesa del Signore non è in un tempo vuoto, ma che ciascuno è chiamato a vivere l’attesa con responsabilità.
La fede nel tempo dell’Avvento, come in qualsiasi altro tempo, è responsabilità; io ho un compito da portare avanti, un servizio, un ministero che si va precisando nella nostra storia e nel tempo. L’attesa del Signore si consuma vivendo con fedeltà il compito che ci è stato affidato e che rende concreto il mio sì al Signore. Ad esempio, la famiglia, un ministro, uno scienziato, un attore… ognuno attende impegnandosi in un servizio. Questo rende denso il nostro presente, perché il nostro presente non è ancora l’approdo, il termine ultimo verso il quale siamo realmente in cammino.
  • L’Avvento del Signore è certo, ma è incerto il quando e il come, cioè potrebbe essere alla sera, a mezzanotte, al mattino.
Non essendo possibile stabilire il quando, attenzione a non alzare le braccia, a non arrendersi. È bello seguire il Signore, ma è impegnativo. Se io lascio perché sono stanco o voglio fare dell’altro, danneggio me stesso; e questo, oltre ad essere un danno per me, lo è anche per gli altri. L’Avvento mette in discussione l’uso del tempo. Cosa ne facciamo? Come lo impegniamo? Lo buttiamo via o lo valorizziamo per un servizio, un aiuto, per la fedeltà al nostro compito? La fedeltà al compito è senso di responsabilità e di attenzione al presente. Questa tensione ci impedisce di essere idolatri, di fare un idolo nel presente. Il padrone che tarda a venire può farmi pensare al fatto che non torni più, quindi può farmi cambiare strada, magari mangio e bevo e non mi preoccupo più di attenderlo. Il rischio è che le cose immediate ci assorbano a tal punto da distoglierci dall’attesa. Da qui l’importanza di comprendere l’uso del tempo, la passione con cui siamo attenti agli avvenimenti. L’uso del tempo vuol dire anche capire cosa fa il Signore in me e nella realtà, cosa mi chiede nell’attenzione agli incontri e ai bisogni.
  • La prima lettura ci fa cogliere il dramma di questa tensione; noi non siamo capaci di tenere sempre dritto il nostro cammino e anche le cose buone sono contaminate.
La pagina di Isaia ci dice che la vigilanza è messa alla prova, aggredita da forze opposte. La nostra spinta è egocentrica.
  • In sintesi, l’Avvento significa vivere la vita come attesa di Lui che viene, un’attesa viva, operosa, che impegna tutte le mie facoltà, le mie risorse materiali e spirituali. È un impegno bello e appassionante, perché senti che è vero e che vivendo questa tensione respiri e la tua vita risulta ricca.

MESSAGGIO
Tornerà nella notte
Colpisce che, secondo la parabola dell’uomo partito per un lungo viaggio, il momento del suo ritorno sarà nella notte.
Notte, in cui occorre tenere gli occhi ben aperti, in cui è più difficile non lasciarsi sopraffare dal sonno, in cui occorre lottare contro la pesantezza del corpo e dell’animo. In cui più che mai si deve attuare la vocazione dei cristiani a essere luce.
La notte è simbolo di tempi bui, di tenebre interiori e storiche, personali e comunitarie, civili ed ecclesiali. La venuta del Signore non le abolisce, ma è proprio in esse che egli viene già oggi, nel quotidiano della vita. Si tratta di abitare la notte acuendo lo sguardo spirituale, lottando contro la pigrizia, vigilando. La notte è il tempo della tentazione e questo tempo è il nostro oggi. L’attesa della venuta del Signore diviene così sforzo di discernimento dei segni della sua presenza.
( Bose )

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