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Velemir Chlebnikov nella poesia di Gennadij Ajghi

Da Paolo Statuti
Gennadij Ajghi

Gennadij Ajghi

Velemir Chlebnikov

Velemir Chlebnikov

  

Questa è la mia traduzione di un articolo del musicista e storico della letteratura russa Dmitrij Aleksandrovič Paškin, nato nel 1977. L’articolo è del 2002.

…Tra gli autori che hanno dedicato i propri versi a Velemir Chlebnikov troviamo anche Gennadij Ajghi, uno dei poeti contemporanei più interessanti. In occasione del centenario della nascita di Chlebnikov, nel 1985 egli scrisse un saggio, pubblicato in Russia soltanto nel 1994, dal titolo Foglie al vento della festa, inserendovi un ciclo di sette strofe basate su un tema unico, con una propria valenza creativa e una profonda autoanalisi. Fanno da contrappunto a questi versi l’immagine degli occhi azzurri: “…e risplende l’anima dagli occhi azzurri…”, “…innumerevoli e solitari – gli occhi di Velemir…”. Tutto il testo del ciclo si tinge di azzurro, fin dalla prima strofa. Una delle fonti di questa immagine la troviamo nella biografia di Chlebnikov: la maggior parte dei contemporanei, descrivendo i lineamenti del poeta, invariabilmente si soffermavano su questo dettaglio degli occhi azzurri; basta ricordare il famoso paragone di David Burljuk “occhi come un paesaggio di Turner…” Per Ajghi gli occhi di Velemir sono limpide stelle; questa comune metafora assume un accento sorprendente, quando il discorso cade proprio su Chlebnikov. Questa profondità, purezza, qualcosa di primordiale, gli era insito, come a nessun altro; persone così diverse tra loro come Nadežda Pavlovič, Anatolij Marienhof, Vadim Šeršenevič, Ivan Gruzinov, – tutti vedevano nei suoi occhi come lo splendore dell’eternità o, più esattamente, una certa atemporalità. V. Šeršenevič: “Chlebnikov fissa lo spazio con i suoi occhi abbagliati”; N. Pavlovič: “Era sorprendente. Proprio gli occhi di un bambino e di un chiaroveggente”…Ma in Gennadij Ajghi gli occhi costantemente si trasformano e assumono i lineamenti del volto…: “e sempre più luminosa è l’immagine, sempre più diafana…” Ciò che colpisce è che il volto di Chlebnikov risulta in qualche modo anche il volto di Ajghi. “In ogni sua pagina-quadro appare il volto del mondo, il volto di Dio…”, scriveva V. Novikov. E nella seconda strofa del ciclo dedicato a Chlebnikov, egli dice: “anch’io sono un po’ il volto!” – Ajghi guarda Chlebnikov e vede se stesso; il poeta a un tratto mostra non semplicemente l’affinità creativa o la comunanza delle concezioni, no, Ajghi vede in sé e in Chlebnikov lo stesso Volto: quello della Poesia, dell’Universo, l’immagine dell’infinito…In Ajghi troviamo un gran numero di richiami a concrete creazioni di Chlebnikov. Un altro refrain del ciclo è rappresentato dalle parole ripetute due volte: “ferito dalle pallottole assonnate di Chlebnikov”… La profondità dell’immagine si decifra soltanto attraverso un richiamo a un contesto storico. Ajghi come studioso era sicuramente a conoscenza della reazione di Majakovskij (riferita da Roman Jakobson), dopo aver letto un frammento del poema Sorelle-folgori di Chlebnikov: “Ah, se sapessi scrivere come Vitja!..” Per Majakovskij una confessione decisamente fenomenale, unica, assolutamente priva di analogie! E ciò fu detto a causa dei seguenti versi di Chlebnikov: “Dalla strada dell’alveare//Pallottole come api.//Vacillano le sedie…” Da queste pallottole risultò ferito anche Ajghi: egli fece esattamente eco alle parole sfuggite a Majakovskij, stendendo attraverso decenni il filo del riconoscimento e dell’entusiasmo per l’acutezza e la precisione della frase poetica di Chlebnikov. Ma il refren conduce oltre; nel finale del ciclo sono indicate le circostanze e il luogo dell’azione: la periferia di Mosca e la necessità di alzarsi il giorno dopo alle nove del mattino. Organizzando con questa indicazione un particolare cronotopo, Ajghi sposta il testo in una realtà del tutto diversa, nel mondo del sonno, gettando un ponte dalla realtà del lavoro notturno, finché è buio, al mondo ultraterreno e sonnolento dell’ispirazione poetica…

Il tema del sonno occupa nella poesia di Ajghi un posto del tutto particolare, è uno specifico stato della coscienza, è la chiave per capire tutta la sua creazione; egli stesso dice: “Il sonno per me è un genere…” Nel ciclo Foglie al vento della festa, non possiamo non rilevare la parola “дорози” (strade) dell’antico slavo, anziché “дороги” (strade) del russo moderno, usata da Chlebnikov nella sua poesia O Rus’, sei tutta un bacio nel gelo.. (1921) e ripresa due volte da Ajghi nella seconda strofa del ciclo tra virgolette. Anche qui egli mostra in primo luogo ancora un’altra fonte chlebnikoviana del suo “colorito” poetico e, in secondo luogo, si serve di un tratto tipico della poetica di Chlebnikov: l’amore per i termini del vecchio slavo, per l’antico russo. Non a caso appare anche la frase sulle “leggi del tempo” e l’immagine della struttura del verso, così importante per la tarda creazione di Chlebnikov.

Il ciclo del giubileo è non solo un omaggio al Budetljanin, ma anche una riflessione sulla creazione poetica nella sua categoria superiore, una riflessione sulla eterna e creativa autoespressione dell’anima. Svelando di poesia in poesia tutti i nuovi tratti della creazione di Chlebnikov, Ajghi al tempo stesso mostra il suo ritratto e il colloquio acquista qualitativamente un’altra dimensione: il discorso si avvia subito in nome di due anime affini che contemplano l’eternità: in nome di Ajghi-Budetljanin, in nome del Poeta. Immergendosi interamente nella propria creazione, Ajghi, come Dante dietro a Virgilio, procede dietro a Chlebnikov – guida, esamina l’occulto, dove trova non tanto un alleato, quanto le stesse profondità dell’Io. “E i suoi sogni – sogni di beatitudine”, scriveva l’autore a proposito di Chlebnikov. Tale beato e puro suo sogno di Velemir, sogno di se stesso e, in fin dei conti, dell’Anima cosmica, primordiale, traspare dai versi di Gennadij Ajghi, asceticamente parchi, ma brucianti come acido cloridico, vaghi e irritanti , come il ricordo dei sogni dell’infanzia.

   Dmitrij Aleksandrovič Paškin

 

Gennadij Ajghi

Foglie al vento della festa

(Nel centenario di Velemir Chlebnikov)

1

il fuoco come esclamativo di Chlebnikov

2

con l’azzurro dell’anima di Velemir

tagliano infantili – candide

con suono innocente strade *

è la voce di un bambino e il saggio

sguardo di un contadino! e le strade

nello stesso Campo – Russia

si uniscono e divergono:

con l’immagine lontana di Velemir!

anch’io sono un po’ il volto! talvolta

come se dal dolore già quasi musorgskiano!

e tagliano – come curano – la tristezza in taciti campi

nelle strade del volto chinato – in questo minuto

dall’azzurro celato – le strade *

3

ferito dalle “pallottole assonnate” di Chlebnikov

sussulto – visibile

dagli angoli – creati con impulsi

dalla frana del sonno! – schiarendosi

di bianchezza – interrotta da una quantità

di immagini dell’anima dalla profondità dell’oblio

penetranti – senza volti

4

ma le stelle

limpide (ed eterne saranno

se

il Tempo si annullerà) limpidi

innumerevoli e solitari –

gli occhi di Velemir

l’Ultimo

il Primo

5

“l’intelaiatura io ho posto” tu stesso dicevi

delle poetiche travi

di tronchi di metafore che splendono – solide

con suono vasto – naturale

come l’aria – nel tempo della messe!

puro legname “da lavoro”

più del novantapercento

nel quale il tritume degli obbligatori “poetismi”

non c’è – come non c’è il lusso

in una casa di contadini

6

e risplende l’anima dagli occhi azzurri

dalla rete delle illusorie “leggi del tempo”

e sempre più luminosa è l’immagine: sempre più vicina

e più trasparente che ha amato la spiga come un bambino

7

ferito dalle “pallottole assonnate” chlebnikoviane

finisco di dire – sussultando

per le estremità e i distrutti centri

del sonno che vede e del sonno

che non vede – disperdendo – me

e l’operazione – svegliarsi

il 29 alle 9

di mattina a Mosca – in periferia

23-29 settembre 1985, Mosca

* Nel testo russo: „дорози”, anziché “дороги”.

(Versione di Paolo Statuti)

Velemir Chlebnikov

O Rus’, sei tutta un bacio nel gelo!

O Rus’, sei tutta un bacio nel gelo!

Azzurreggiano le notturne strade. *

Da un lampo azzurro le labbra sono fuse,

Azzurreggiano insieme quello e quella.

Di notte un lampo si sprigiona

A volte dalla carezza di due bocche.

E le pellicce a un tratto avvolge agile,

Azzurreggiando, un lampo senza sensi.

E la notte splende saggiamente e nera.

Autunno 1921

* Nel resto russo: “дорози”, anziché “дороги”

(Versione di Paolo Statuti)

(C) by Paolo Statuti



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