25 giugno 2012 Lascia un commento
Pare che l’omonimo abbia diretto un solo film verso la fine degli anni ’70, "Fast Company" per l’appunto che piu’ immerso nello Zeitgeist di cosi’ non poteva essere con tanto di motori, vita on the road, canzoni che parevano tutte dei Boston, uomini con le facce da Neil Diamond e donne precise a Farrah Fawcett.
Mancava solo sbucasse da qualche parte Poncharello, sguaiato come una grassa iguana motorizzata a impennare nel deserto.
Film passabile se ci si limita ai tubi di scappamento e gli shorts delle bionde figliole, trama esile di antefatto, dramma e finale, cattivi brutti, sporchi e mazziati, buoni che soffrono ma alla fine trionfano, il tutto contornato da macchiette stereotipate di spessore variabile, mai oltre qualche micron.
Ora, si potrebbe pensare che in fondo questo sia un film intermedio, un anello della catena evolutiva di un grande regista che si da il caso pero’ leghi con un filo rosso le sue opere attraverso l’dea costante e trasversale dell’evoluzione della carne declinata in tutte le sue forme come testimoniano gli esordi de "Il demone sotto la pelle", "Rabid", "Brood" a delineare da subito un trend ben preciso che prosegue con "Scanners", "Videodrome" e via oltre.
Che ci sta a fare questa roba? Non c’e’ evoluzione o sperimentazione; questo non e’ Cronenberg che eppure lo difese giustificandolo con la sua reale passione per i motori e definendolo un "solido fil d’azione di serie B".
Ad ogni modo vai tu a sapere che successe, quali reali retroscena condussero alla sua realizzazione.
A qualcuno piace perche’ e’ un Cronenberg-non-Cronenberg, a me non piace semplicemente perche’ e’ un film banale con un finale incomprensibilmente stupido.