Se corri come un fulmine, ti schianti come un tuono
Derek Cianfrance per il suo secondo film continua a raccontare storie di vita americana, come già era stato in Blue Valentine, solo che in questo The place beyond the pines (in italiano Come un tuono) una famiglia da sola non sembra bastare e quindi Cianfrance ne aggiunge un’altra. Un film diviso in tre tempi, tempi della vita dei protagonisti più che della storia:
la prima, vede protagonista Ryan Gosling, alias Luke il bello, motociclista spericolato che diventa criminale per amore della famiglia; la seconda, luci e ombre di un Bradley Cooper (Avery Cross nel film), poliziotto devoto alla legge; e la terza, altre due parti opposte che si incontrano, finalmente.
E infatti tutto il film è un gioco di parti, parti maschili, quasi un film sul maschio alfa, lotta per una sopravvivenza mentale o più spesso solo immaginaria; personaggi femminili poco incisivi (Eva Mendes, abbastanza inutile) o comunque molto simili a quello che già era stato di Michelle
Williams nel precedente film (comunque con una parte più consistente), sostanzialmente poco delineati a fronte di personaggi maschili incredibilmente indagati e descritti. Gioco forza lo fa, a mio parere, anche la scelta degli attori: Gosling, si sa, è perfetto per questi ruoli di buon selvaggio, già in Drive ce ne aveva dato ampia prova e proprio la prima parte di questo film ricorda un sacco il film di Winding Refn; Cooper, in espansione dopo Il Lato
Positivo, se la cava egregiamente e tiene bene testa all’altro protagonista nella seconda parte del film.
Il film parte alla grande con la prima scena girata tutta in piano sequenza; seguiamo Ryan Gosling, di schiena, che cammina rude con una maglia dei Metallica in mezzo a un mondo tutto luci e dolcetti, un lunapark, e così ci inseriamo anche nel film, alle spalle di Luke il Bello: una sequenza necessaria e indubbiamente bella. Cianfrance si avvale di una fantastica fotografia, Sean Bobbitt sa il fatto suo e già se ne era accorto Steve McQueen per la fotografia dei suoi Hunger e Shame.
Il film parla di velocità e lentezza: il modo in cui certi avvenimenti si inseriscono prepotentemente nella vita dei protagonisti come delle repentine accelerazioni che fanno incalzare improvvisamente tutto il ritmo della storia. Cianfrance cerca di dare al film lo stesso respiro universale e “mitologico” di Magnolia di Anderson, ma senza riuscirci troppo (non ha una pioggia di rane
al suo arco!), piuttosto, forse involontariamente, con un certo ribaltamento dell’ordine manicheo, si accosta più a The Departed di Scorsese.
Per quanto riguarda la soundtrack si poteva essere più incisivi, si punta tutto su qualche pezzo folk in puro stile stelle e strisce (tipo quello dei titoli di coda): qualche pezzo più pomposo non avrebbe stonato.
A conti fatti, un bel film, a tratti un revenge-movie, che anche se non profuma di originalità, ha i suoi bei momenti d’emozione, un puzzle che si compone poco a poco incastrando vite diverse dalle quali il nostro occhio si tiene sempre equidistante, nell’arco di tutta la narrazione, riuscendo tuttavia ad entrare dentro a due storie che, per quanto sembrino essere opposte e in
conflitto, tornano più volte insieme, compenetrandosi, e solo allora arriveranno al nuovo grado di consapevolezza, dato dal coraggio di vivere, il luogo che sta oltre i pini.