Mario Michele Pascale
Ho assistito al comizio di Nichi Vendola a Civitavecchia, avvenuto nell'ambito della campagna "Invertire la rotta verso Tunisi": un percorso a ritroso lungo le vie delle migrazioni transmediterranee.
Il mezzo di trasporto prescelto è stato un peschereccio. Un simbolo potente che richiama imediatamete i barconi, le scomodità ed il periglio cui sono sottoposti i migranti. Il peschereccio è anche la "casa dei poveri". Il mestiere del pescatore è fatica ed il pescato va, in gran parte, all'armatore. Simbolo delle migrazioni e simbolo del proletariato il peschereccio di Vendola ha attraccato nel porto di Civitavecchia, una delle tante tappe che porteranno in Africa.
Eppure, nonostante la potenza del simbolo l'operazione non è parsa credibile. L'ingresso di Nichi Vendola in piazza Fratti, con l'aria poco da marinaio e molto poco da proletario, con il suo completo scuro con cravatta da matrimonio, (molto diverso dal completo grigio a buon mercato, dalla cravatta rossa stinta dal tempo e dagli affanni e dalle scarpe scalcinate che una volta identificavano "l'uomo del partito") è stato molto più l'ingresso del buon borghese. L'abito, che di tanto in tanto fa anche il monaco, lo identificava molto più come Governatore della regione Puglia, quindi come membro di una nomenklatura, di un novero di eletti, piuttosto che come leader e "simbolo" di un partito di sinistra.
Ma non ne voglio fare un processo all'eleganza, piuttosto un'analisi dei contenuti.
Gran parte del discorso di Vendola è stato dedicato al Mediterraneo e alle migrazioni. Egli ha praticamente saccheggiato pagine e pagine di Erri De Luca, con le sue meravigliose descrizioni del mare nostrum. Ma ciò che è buono per la narrativa non è, in genere, significativo per la politica. Alla fine il Mediterraneo, con "i suoi colori e i suoi sapori", ripetuti in ogni salsa, stuccava e si perdeva di vista l'obbiettivo, serio e nobile, delle politiche delle migrazioni. Ad un certo punto la poesia è stata talmente elevata che, di fronte "agli ulivi tutti in fila come sentiero interiore del Mediterraneo", i lavoratori della compagnia portuale, identificabili perchè ad ogni iniziativa politica e sindacale presenziano in abiti di lavoro, pur continuando ad applaudire si sono guardati tra di loro leggermente perplessi, quasi basiti.
Il migrante, al di là delle banalità di turno, è parso perdersi sullo sfondo di una narrazione poetica, visionaria, metafisica.
Di tanto in tanto, per infiammare la platea, Vendola tornava al reale tirando fuori l'asso dalla manica e nominava il "nemico"; Sacconi, Maria Stella Gelmini, Borghezio, Bossi, Berlusconi ed il Bunga Bunga. Temi triti, ritriti, trattati da ogni testata giornalistica e sui quali, bene o male, siamo già tutti d'accordo.
Il resto dell'intervento, pur gradevole da sentire ed orecchiabile, giacchè il tono di voce di Vendola sa esser anche suadente e musicale, specie se accompagnato dal saltellio, non è andato al di là di una leggera critica al PD sulla flessibilità ed una critica molto generica e quasi da educanda alla speculazione finanziaria.
L'applauso più lungo lo si è avuto quando Nichi ha interrotto la "narrazione" per bere un sorso d'acqua.
L'intervento è terminato con il motto, oramai conosciutissimo, del "Riaprire la partita".
Fin qui la cronaca. Nel complesso la giornata è stata deludente; l'affabulatore riesce a colpire nel segno solo ed esclusivamente quando resta in superficie. Pronunciare ovvietà condivise crea consenso; spiegare, discutere, proporre, no. Il buon Nichi deve saperlo molto bene dato che il suo comizio è stato un vorticoso insieme di parole d'ordine carente di contenuti nuovi e di proposte. Non è stato spiegato nè come nè in che direzione governare il paese. Non è stato spiegato con chi governarlo. Non è stato spiegato come ci si possa muovere, in una posizione di governo, all'interno dello scenario della crisi. Pare paradossale, ma non è stato neanche spiegato come affrontare, in meglio, le migrazioni trans mediterranee, che sono l'oggetto della "rotta verso Tunisi".
Vendola è parso anche privo di reali punti fermi teorici menzionando nel suo discorso (oltre al mai citato ma onnipresente Erri De Luca) solo Luigi Einaudi e tirando in ballo di sfuggita (molto più per strappare un applauso che altro) il povero Berlinguer. La sua esposizione, da un punto di vista intellettuale, nonostante le parole forbite ed i riferimenti letterari, è sembrata concettualmente povera e non ha mai lasciato trasparire, al di là di un vago ribellismo, un'impostazione marxista o un'ombra di materialismo storico.
Mi aspettavo di vedere un leader di sinistra, mi sono dovuto accontentare di un poeta, di un flaneur.
Ma probabilmente è stata colpa mia. Forse non meritavo "tanta bellezza" e la mia anima è troppo rozza e poco spirituale per poter apprezzare "la buona novella".
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