Nelle orazioni funebri dell’antica Grecia, ripercorrendo la vita del defunto, colui che lo commemorava non si domandava se fosse stato un uomo giusto, buono, onesto, vile o un eroe, si chiedeva semplicemente se avesse avuto “passioni”. Per i greci l’essere capaci di avere passioni era un merito che andava al di là e al di sopra di qualsiasi altra considerazione. Questo aspetto di una liturgia antica ci è riapparso dopo aver ascoltato Nichi Vendola in Che tempo che fa. Subito dopo le primarie in Puglia avevamo scritto che, se Vendola ci avesse ospitato in un trullo vista mare, avremmo volentieri chiesto asilo politico nella sua regione, epoca non sospetta, quindi, perché la vittoria alle elezioni non era affatto scontata. Seguiamo il Vendola politico da una vita e, a parte qualche incidente di percorso che rientra comunque nella “sindrome da diaspora” che affligge la sinistra, abbiamo sempre avuto per lui un rispetto che raramente ci capita di dimostrare nei confronti di altri politici. Allergici ai miti e agli eroi come siamo, non possiamo però nascondere la simpatia e la stima che ci accompagna ogni qualvolta lo sentiamo parlare, e non solo perché non si vergogna di essere comunista e di dire “qualcosa di sinistra”, ma perché la sua analisi è talmente lucida e vera che si capisce perché crea tanti problemi ai leader dell’attuale centrosinistra. Nichi Vendola ha un grande merito, quello di rivendicare differenze e un senso di appartenenza ad una “classe” che solo apparentemente suona come desueto, antico, fuori dal tempo. L’analisi che compie sullo stato attuale della “cultura” in Italia è la stessa che abbiamo iniziato a fare noi, quattro amici al bar, nel momento in cui le tivvù di Berlusconi infarcivano con decine di spot pubblicitari “Il fiore delle mille e una notte” di Pier Paolo Pasolini. C’erano già, evidenti per chi non si rassegnava allo pseudo progresso strombazzato dalla tivvù commerciale, tutti i segnali che questo paese si sarebbe culturalmente impoverito nel giro di pochi anni e tanto è successo. E suona “profetico” l’appello che Federico Fellini rivolse all’opinione pubblica di allora, contro lo svilimento dell’arte e l’imbarbarimento della cultura. Vendola si è appropriato di questi aspetti, e basterebbe vedere cosa ha fatto per la cultura pugliese negli anni del suo governatorato e di come ha trasformato, ad esempio, l’Apulia Film Commission in una industria di supporto al cinema che porta reddito, visibilità e qualità, per capire come alle parole siano seguiti i fatti. In Puglia, Vendola non è stato lasciato solo e i risultati delle elezioni stanno a dimostrarlo. Al contrario di molti colleghi che preferiscono testimonial da Oscar per pubblicizzare il loro territorio, Vendola ha preso i pugliesi e li ha trasformati nei migliori propagandisti di se stessi, dimostrando che Dustin Hoffman non è indispensabile quando si è in possesso di qualità proprie. Ha invocato un ritorno all’idea di “classe” e un riappropriarsi del concetto di lavoro sinonimo di qualità della vita e portatore di dignità. Ha detto che con Fini è utile parlare ma che c’entra Fini con la sinistra è una domanda alla quale dovrebbero rispondere i disperati leader di un Pd alla deriva. Non si insegue l’avversario politico sul proprio terreno perché se ne uscirebbe con le ossa rotta, è essenziale però smascherarne le contraddizioni, l’inefficienza, il vuoto culturale. Vendola da Fazio, il giorno della Liberazione, è stato l’emblema di un paese che non si rassegna, come Berlusconi vorrebbe, alle manovre di un taumaturgo da operetta, incline alla peggiore fiction. La realtà è un’altra e non ha né la faccia né le idee di un personaggio in pieno delirio di onnipotenza che compra tutto non riuscendo a conquistare nulla. Il problema, e ha perfettamente ragione Nichi Vendola, non è quello di trovare un leader fotogenico e pronto alla battuta, ma il portatore di un progetto, di una nuova visione del mondo, di una nuova dignità che lo incarni senza tentennamenti. La nostra impressione è che se ci si arma di coraggio, il resto verrà. Berlusconi non sarà eterno ma il berlusconismo temiamo rischi di diventarlo perché ha contagiato tutto e tutti, anche coloro che avrebbero dovuto rendersene conto non puntando solo alle personali rendite di posizione. La politica ha bisogno di un colpo di reni e, visto che in molti hanno maturato la pensione, non per raggiunti limiti di età ma per logoramento, sarebbe ora si facessero da parte. Ci sono sempre i pomodori da raccogliere, magari sporcarsi le mani di terra potrebbe consegnargli il significato vero della parola lavorare.
Magazine Società
Vendola da Fazio. Un miracolo, c’è ancora qualcuno di sinistra.
Creato il 26 aprile 2010 da Massimoconsorti @massimoconsorti
Nelle orazioni funebri dell’antica Grecia, ripercorrendo la vita del defunto, colui che lo commemorava non si domandava se fosse stato un uomo giusto, buono, onesto, vile o un eroe, si chiedeva semplicemente se avesse avuto “passioni”. Per i greci l’essere capaci di avere passioni era un merito che andava al di là e al di sopra di qualsiasi altra considerazione. Questo aspetto di una liturgia antica ci è riapparso dopo aver ascoltato Nichi Vendola in Che tempo che fa. Subito dopo le primarie in Puglia avevamo scritto che, se Vendola ci avesse ospitato in un trullo vista mare, avremmo volentieri chiesto asilo politico nella sua regione, epoca non sospetta, quindi, perché la vittoria alle elezioni non era affatto scontata. Seguiamo il Vendola politico da una vita e, a parte qualche incidente di percorso che rientra comunque nella “sindrome da diaspora” che affligge la sinistra, abbiamo sempre avuto per lui un rispetto che raramente ci capita di dimostrare nei confronti di altri politici. Allergici ai miti e agli eroi come siamo, non possiamo però nascondere la simpatia e la stima che ci accompagna ogni qualvolta lo sentiamo parlare, e non solo perché non si vergogna di essere comunista e di dire “qualcosa di sinistra”, ma perché la sua analisi è talmente lucida e vera che si capisce perché crea tanti problemi ai leader dell’attuale centrosinistra. Nichi Vendola ha un grande merito, quello di rivendicare differenze e un senso di appartenenza ad una “classe” che solo apparentemente suona come desueto, antico, fuori dal tempo. L’analisi che compie sullo stato attuale della “cultura” in Italia è la stessa che abbiamo iniziato a fare noi, quattro amici al bar, nel momento in cui le tivvù di Berlusconi infarcivano con decine di spot pubblicitari “Il fiore delle mille e una notte” di Pier Paolo Pasolini. C’erano già, evidenti per chi non si rassegnava allo pseudo progresso strombazzato dalla tivvù commerciale, tutti i segnali che questo paese si sarebbe culturalmente impoverito nel giro di pochi anni e tanto è successo. E suona “profetico” l’appello che Federico Fellini rivolse all’opinione pubblica di allora, contro lo svilimento dell’arte e l’imbarbarimento della cultura. Vendola si è appropriato di questi aspetti, e basterebbe vedere cosa ha fatto per la cultura pugliese negli anni del suo governatorato e di come ha trasformato, ad esempio, l’Apulia Film Commission in una industria di supporto al cinema che porta reddito, visibilità e qualità, per capire come alle parole siano seguiti i fatti. In Puglia, Vendola non è stato lasciato solo e i risultati delle elezioni stanno a dimostrarlo. Al contrario di molti colleghi che preferiscono testimonial da Oscar per pubblicizzare il loro territorio, Vendola ha preso i pugliesi e li ha trasformati nei migliori propagandisti di se stessi, dimostrando che Dustin Hoffman non è indispensabile quando si è in possesso di qualità proprie. Ha invocato un ritorno all’idea di “classe” e un riappropriarsi del concetto di lavoro sinonimo di qualità della vita e portatore di dignità. Ha detto che con Fini è utile parlare ma che c’entra Fini con la sinistra è una domanda alla quale dovrebbero rispondere i disperati leader di un Pd alla deriva. Non si insegue l’avversario politico sul proprio terreno perché se ne uscirebbe con le ossa rotta, è essenziale però smascherarne le contraddizioni, l’inefficienza, il vuoto culturale. Vendola da Fazio, il giorno della Liberazione, è stato l’emblema di un paese che non si rassegna, come Berlusconi vorrebbe, alle manovre di un taumaturgo da operetta, incline alla peggiore fiction. La realtà è un’altra e non ha né la faccia né le idee di un personaggio in pieno delirio di onnipotenza che compra tutto non riuscendo a conquistare nulla. Il problema, e ha perfettamente ragione Nichi Vendola, non è quello di trovare un leader fotogenico e pronto alla battuta, ma il portatore di un progetto, di una nuova visione del mondo, di una nuova dignità che lo incarni senza tentennamenti. La nostra impressione è che se ci si arma di coraggio, il resto verrà. Berlusconi non sarà eterno ma il berlusconismo temiamo rischi di diventarlo perché ha contagiato tutto e tutti, anche coloro che avrebbero dovuto rendersene conto non puntando solo alle personali rendite di posizione. La politica ha bisogno di un colpo di reni e, visto che in molti hanno maturato la pensione, non per raggiunti limiti di età ma per logoramento, sarebbe ora si facessero da parte. Ci sono sempre i pomodori da raccogliere, magari sporcarsi le mani di terra potrebbe consegnargli il significato vero della parola lavorare.
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