In uno dei suoi romanzi più famosi, Zola realizza una vera e propria mitografia venusiana nel personaggio di Nana, rivelandoci come nuovo santuario e dimora d'elezione della dea la Parigi del Secondo Impero.
L'incarnazione di Venere in Nana è condotta da Zola in modo consapevole ed esplicito: il romanzo si apre,non a caso, a teatro, proprio con la rappresentazione de La Blonde Vénus, di cui Nana è protagonista, una dozzinale pantomima di concilio degli dèi con reminiscenze fruste da commedia classica, con Diana (una delle rivali di Nana), che significativamente si lagna dei tradimenti di Marte, gli uomini che invocano da Giove giustizia contro Venere per i tradimenti delle loro mogli. di dèi che invocano Venere e che appunto la vanno a cercare. L'apparizione di Nana nei panni di Venere riprende ovviamente i più triti modelli iconografici:
I n quel preciso momento le nuvole, nello sfondo, si aprirono, e venere apparve. Nana, molto alta e formosa per i suoi diciotto anni, nella tunica bianca da dea, i lunghi capelli biondi sciolti sulle spalle, scese verso la ribalta con sicurezza tranquilla, sorridendo al pubblico. Intonò la sua famosa aria: "Allorché Venere vaga la sera...".
Il pubblico non riesce a credere alle proprie orecchie, visto che non ha mai sentito una voce così aspra e sgraziata; tuttavia, secondo le previsioni dell'astuto e navigato impresario Bordenave, una voce intonata è per Nana del tutto superflua; non le ci vuole molto infatti, per sedurre il pubblico con l'allegria e il sorriso (non a caso uno degli attributi di Venere è La Sorridente) e di fare così forza sulla sua stessa mancanza di voce e di talento tenendo in pugno il pubblico con il fascinum di un semplice movimento dei fianchi:
Nana, intanto, sentendo ridere gli spettatori, si era messa a ridere anche lei. L'allegria aumentò. Era proprio simpatica, quella bella ragazza! Il sorriso le scavava una deliziosa fossetta sul mento. Lei aspettava, senza imbarazzo, tranquilla, già entrata in comunicazione col suo pubblico, con l'aria di esser la prima a dire, strizzando l'occhio, di non aver due soldi di talento, ma che in fondo questo non aveva nessuna importanza, perché tanto possedeva ben altro. E dopo aver fatto al direttore d'orchestra un gesto che significava: "Forza, amico!", cominciò a cantare la seconda strofetta:"A mezzanotte, è Venere che passa...".Nana era tutta coperta di peluria: una peluria fulva che ne rendeva vellutato tutto il corpo,[...] Era la bestia d'oro, incosciente come una forza, di cui bastava l'odore per far marcire il mondo. [...]Con gli occhi umidi, si faceva piccola piccola, come per meglio sentirsi. Snodò le mani, le abbassò facendole scivolare fino ai seni, che afferrò con una stretta nervosa. E come se volesse fondersi in una carezza di tutto il corpo, strofinò le guance, a destra e a sinistra, contro le spalle, con abbandono. La bocca avida emetteva sospiri di desiderio di se stessa. Protese le labbra, si baciò lungamente vicino all'ascella, sorridendo all'altra Nana, che, anche lei, baciava se stessa nello specchio.
Allora Muffat ebbe un sospiro profondo e prolungato. Quel piacere solitario lo esasperava. Bruscamente, in lui ogni pensiero fu spazzato via, come da un gran vento. Afferrò Nana per la vita, in una furia di brutalità, e la gettò sul tappeto. Su, dalla signora, il vento del dissesto soffiava ancora più forte: abiti da diecimila franchi messi due volte e poi venduti da Zoe, gioielli che sparivano, come sbriciolati in fondo ai cassetti, compere stupide, le novità del momento, dimenticate l'indomani in un angolo, buttate in mezzo alla strada. Nana non poteva vedere una cosa che costava carissima senza averne subito voglia; faceva quindi, intorno a sé, una continua ecatombe di fiori e di gingilli preziosi, tanto più felice quanto più era costato il suo capriccio di un'ora. Non le durava nulla, rompeva tutto, tutto si sciupava e si sporcava tra le sue piccole dita bianche: una scia di rottami senza nome, di stracci sgualciti, di ciarpame fangoso la seguiva dappertutto e segnava il suo passaggio. Poi scoppiavano i conti grossi, in mezzo allo sciupio quotidiano: ventimila franchi dalla modista, trentamila dalla cucitrice, dodicimila dal calzolaio, la scuderia ne divorò cinquantamila, in sei mesi il sarto le presentò una nota di centoventimila franchi. Così, senza aumentare il suo tono di vita, calcolato da Labordette a una media di quattrocentomila franchi, raggiunse quell'anno il milione, stupefatta ella stessa di quella cifra, incapace di dire che cosa avesse fatto con una tale somma. Gli uomini ammassati gli uni sugli altri, l'oro raccolto a carrettate, non riuscivano colmare il vuoto che quotidianamente si spalancava sul pavimento del palazzo, nello scricchiolio del suo lusso. Era sempre la stessa voce agra, ma ora solleticava così bene il pubblico al punto giusto, da suscitargli di tanto in tanto un brivido. Nana non aveva smesso di sorridere, e il suo sorriso splendeva sulla piccola bocca rossa e illuminava i grandi occhi, di un azzurro chiarissimo. Quando i versi si facevano un po' più audaci, arricciava golosamente il nasino, le cui narici rosee vibravano, mentre sulle guance le passava una fiamma. Continuava a dondolarsi, non sapendo fare altro, ma ora nessuno trovava più niente da ridire, anzi; tutti gli uomini puntavano i binocoli su di lei. Verso la fine della strofetta, la voce le mancò completamente, e si rese conto che non sarebbe riuscita ad arrivare fino in fondo. Allora, senza prendersela affatto, dette un colpo d'anca che disegnò una graziosa rotondità sotto la minuscola tunica bianca, mentre, piegando la vita, col petto riverso, tendeva le braccia. Esplosero applausi. Si voltò subito, per tornare indietro, mostrando la nuca dove i capelli ramati facevano pensare a un vello di bestia, e gli applausi divennero furiosi.
Oltre a Sorridente, altro epiteto di Venere, come il precedente derivante dall'Inno omerico a lei dedicato, è A urea, Dorata. L'oro è il colore della dea, per i capelli biondi, la carnagione e gli oggetti d'oro per lei continuamente forgiati dal marito Efesto. Ed ecco che Zola appronta per noi un magnifico ritratto femminile, in cui il colore d'ambra di Nana è la nota cromatica dominante, l'aura della stessa potenza della dea. Non solo: Zola con squisita finezza riprende qui anche uno dei soggetti iconografici più noti, da Tiziano a Velasquez ,la Venere allo specchio, mai sazia del proprio desiderio di rimirarsi, così splendida e superiore a tutte le miserie delle regole e delle convenzioni sociali umane, assolutamente distaccata da tutto quanto sia estraneo al proprio piacere ed appagamento(compresa la disperazione in cui getta i suoi amanti):
Ma Venere, come è noto, non è fatta per la brutalità: per questo, pur concedendosi ai suoi numerosi amanti per denaro, dichiara più volte di esserne disgustata. il suo mondo è un mondo di tenerezze, di carezze e di baci, che appunto Venere ritrova solo in Eros puer, il sedicenne Georges che vive con lei l'idillio campestre de La Mignotte, in cui la tenerezza di Nana assume un volto ambiguamente sensuale e materno, in un nuovo impossibile desiderio(o piuttosto capriccio) di innocenza o con la fanciulla perversa, la giovane e corrotta cortigiana Satin, che inizia Nana alle delizie dell'amore saffico, fino a diventarne oggetto di passione gelosa e furente per la fuggitiva inafferrabile dal volto di vergine, ( che inevitabilmente a noi richiama al pensiero la Prigioniera proustiana):
Da allora Nana ebbe una passione, che l'assorbì completamente. Satin divenne il suo vizio. Installata nel palazzo dell'avenue de Villiers, ripulita, rivestita, per tre giorni interi non fece che raccontare: il carcere Saint-Lazare, i litigi con le suore, quegli sporcaccioni dei poliziotti che le avevano dato il tesserino. Nana s'indignava, la consolava, giurava che l'avrebbe aiutata a uscire da quella situazione, anche se fosse dovuta andare lei stessa a parlare col ministro. Intanto, non c'era fretta: certamente nessuno sarebbe andato a cercarla a casa sua. E, tra le due donne, ricominciarono i pomeriggi teneri: parole carezzevoli, baci interrotti da risate. Ricominciava, in tono scherzoso, il giochetto interrotto dall'arrivo degli agenti, nell'albergo di rue Laval. Poi, una bella sera, le cose si fecero serie. Nana, che da Laure aveva fatto tanto la schizzinosa, ora capiva. Ne fu sconvolta, furiosa, tanto più che la mattina del quarto giorno Satin scomparve. Nessuno l'aveva vista uscire. Era filata via, col vestito nuovo, presa da un bisogno d'aria libera, dalla nostalgia del suo marciapiede. Quel giorno ci fu una tempesta così violenta, nel palazzo, che tutti i domestici chinarono la testa, senza dire una parola. Nana era stata lì lì per picchiare François [il portiere del palazzo, ndr] perché non aveva sbarrato la strada alla fuggitiva.
La furia della passione rivela, archetipicamente, secondo lo studio di James Hillman ( La giustizia di Afrodite, La Conchiglia, Capri 2008),la vicinanza di Venere a Nemesi, la dea vendicatrice, di cui la furia d'amore appare il più evidente sintomo della sua presenza, assieme a Penìa, al bisogno insaziabile di cui è figlio l'Eros del Simposio platonico. La forza di Nemesi, " la reazione ad un'offesa intollerabile", punisce chiunque si avvicini alla dea senza trepidazione, senza il dovuto timore, atteggiamento che indica il misconoscimento della sua potenza e la vanagloria di poter controllare gli effetti della passione amorosa (macchiandosi dunque di hybris, il più classico e tragico dei peccati). Allora l'ira di Venere non conosce tregua, e si vendica contro i suoi stessi fedeli trasformandosi in un orribile Furia che distrugge e divora ogni cosa, lasciandosi dietro montagne di rovine fumanti:
Ma la sete di vendetta della dea non è ancora placata. Colpevoli e vittime insieme della follia amorosa, tutti i suoi amanti precipiteranno nella rovina, dandosi fuoco, impiccandosi nel suo stesso tempio, tentando di annegare i tormenti sensuali nell'ossessività delle pratiche religiose, e senza che neppure un granello di polvere si posi sul suo piede come sulla sua Divina Indifferenza- o, se preferite, sulla sua incoscienza di bellissima bestia, i
Restò sola, in piedi, in mezzo alle ricchezze ammucchiate nel suo palazzo, con un popolo di uomini giacenti ai suoi piedi. Come quegli antichi mostri, la cui temuta dimora era ricoperta di ossa, Nana posava il piede sopra i crani, ed era circondatada catastrofi: la furiosa fiammata di Vandeuvres, la malinconia di Foucarmont, perduto nei mari della Cina, il disastro di Steiner ridotto a vivere da persona onesta, l'imbecillità soddisfatta di La Faloise, il tragico crollo dei Muffat, il bianco cadavere di Georges, vegliato da Philippe, uscito di prigione il giorno prima. La sua opera di rovina e di morte era compiuta, [...] Era buono, era giusto[...] E (...) in un trionfo, il suo sesso s'innalzava e risplendeva sulle sue vittime stese a terra, simile a un sole che s'innalza illuminando una carneficina.
Il romanzo di Nana si staglia nel segno di Venere fino all'ultima riga- inevitabile, dato che la protagonista è pur sempre
una creatura mortale; ma se mai è stato dato un segno della persistenza del mito- e della potenza degli dèi- nella cultura occidentale, immutabile sia pure attraverso infinite metamorfosi, è che perfino il severo ideatore del romanzo sperimentale , il rigoroso profeta del destino individuale come frutto di un determinismo inevitabile, pone la propria arte al servizio delle categorie archetipiche, ovvero delle cose, per dirla con Hillman, " che mai esistono, ma sempre sono".
RISORSE E NOTE A MARGINE
-Il testo dell'Inno omerico ad Afrodite in traduzione italiana
-Sul volume di James Hillman, La giustizia di Afrodite, le recensioni di Eva Cantarella e Silvia Ronchey
Il personaggio di Nana è stato ispirato a Zola dalla grande cortigiana la cui segnalazione ringrazio ancora una volta
A (s)proposito di Veneri stonate, quante persone conoscete che si ergerebbero a giudici severi del talento musicale di Marilyn ?!?!?!?!.......