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Come già in The Grand Budapest Hotel, anche in questo caso siamo di fronte ad un film di scatole cinesi.
Non a livello formale, come ha saputo gestire alla grande Anderson, ma nella sua origine.
Polanski per la sua sceneggiatura è andato ad ispirarsi all'opera teatrale di David Ives (qui co-sceneggiatore), che adatta a sua volta il romanzo cult del 1870 di Sacher-Masoch. In queste fasi di adattamento, si perde così la linearità del libro, che viene arricchito, modernizzato e reso ancora più interessante dalla commistione tra teatro e cinema, tra realtà e finzione i cui confini faticano ad essere trovati.
Come poi già in Carnage, Polanski riduce il cast questa volta a due semplici, magnifici, attori, chiudendoli all'interno del teatro da cui si uscirà solo prima e dopo il loro incontro, aumentando così la sensazione claustrofobica e la chimica tra loro.
Tutto inizia con l'aspirante attrice Vanda che arriva trafelata -e in ritardo- al provino per la sua omonima, protagonista di Venere in Pelliccia. Al suo arriva trova solo il regista e adattatore Thomas, che con moine, prese di posizione e raggiri, verrà incastrato a provinarla, aiutandola nella lettura immergendosi nei panni di Severine.
Parte così tra loro un rapporto che si va a fondere con quello dei personaggi che interpretano: un masochista, uno schiavo, contro una donna potente e lasciva, che su di lui avrà il controllo totale.
Tra parti che si invertono, il ruolo di padrone che passerà dall'uno e l'altra e maschere che forse cadono, le parole di Sacher-Masoch nelle loro bocche diventano pericolose armi, che Vanda saprà usare a suo favore rendendo il regista inizialmente prevenuto nei suoi confronti, a lei devoto e attratto.
Negli anni del liceo, quando filosofia era forse la mia materia preferita, il tema padrone-schiavo è stato decisamente uno dei più interessanti.
Chi è il padrone? E' davvero quello che comanda?
E chi è lo schiavo? E' davvero quello che deve servire?
Non avviene forse un ribaltamento dei ruoli, quando il padrone si trova a non poter fare meno del suo schiavo, diventandone per primo dipendente?
Proprio questa difficile distinzione è qui rappresentata, con Vanda che si sottomette, che si traveste da quello che non è, che arriva inaspettatamente preparata ad un provino in cui fin da subito recita, mentre Thomas, così altero e prevenuto, cederà alla lussuria, mostrando tutto il Severine presente in lui.
Emmanuelle Seigner e Mathieu Amalric sono magnetici nei loro ruoli, incarnazione perfetta di maschere, mentre Polanski diverte, mescola generi, dal teatrale alla commedia al dramma, infarcendo il tutto di un umorismo sottile e di citazioni (il cactus fallico di Ombre Rosse, tanto per dire) che rendono Venere in Pelliccia una pellicola godibilissima e estremamente intelligente.
Anche la musica ha qui un ruolo primario, con le composizione semplici e allegre di Alexader Desplat a fare da contrappunto alla tensione dei due protagonisti, incorniciati da una fotografia e da luci di scena che ne esaltano la bellezza.
Chiusi in quel teatro, cercando di capire chi Vanda sia in realtà, ci troviamo così davanti a un adattamento di un adattamento di un adattamento, che brilla di una luminosa luce propria.
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