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La trama (con parole mie): Saartje Baartman, giovane donna sudafricana, fu uno dei fenomeni più clamorosi che all'inizio dell'ottocento attraversarono il Vecchio Continente da Londra a Parigi. Appartenente all'etnia degli Ottentotti e presentata come una selvaggia dal suo vecchio padrone - il sudafricano Caezar -, la ribattezzata Sarah venne coinvolta per anni in uno spettacolo di dubbio gusto che la poneva come un vero e proprio fenomeno da baraccone, un freak culturale e razziale, che la ragazza riusciva a sopportare soltanto bevendo fino allo spasimo e sognando, un giorno, di poter tornare nel proprio Paese e cercare di ricostruirsi una famiglia superando il trauma della morte del figlio.Quando la sua ribellione ai metodi di Caezar la porta tra le mani di Reaux - altro "artista di strada" accompagnato dalla prostituta Jeanne - e dall'Inghilterra il suo show viene portato in Francia, pare che le cose possano migliorare, anche grazie all'interesse della comunità scientifica per lei: ma sarà solo l'illusione di un'uguaglianza che Saartjie non potrà mai assaporare.
Abdellatif Kechiche è uno dei registi attuali più interessanti che il panorama europeo possa considerare, nonostante il grande pubblico continui sostanzialmente ad ignorare la sua esistenza benchè i festival più importanti abbiano ormai consolidato l'ammirazione che gli addetti ai lavori nutrono rispetto all'opera di questo interessante autore nordafricano ormai di casa in Francia.
Fin dai tempi di Tutta colpa di Voltaire, una delle basi fondamentali della sua poetica è stata l'integrazione, che dalle periferie de La schivata alla famiglia di Cous cous ha costituito la cartina tornasole dei suoi protagonisti più importanti: la recente conquista della Palma d'oro a Cannes del regista mi ha ricordato che un titolo mancava ancora all'appello del sottoscritto, e appena ho potuto sono corso a recuperare il dvd di Venere nera, pellicola fiume lontana dalle logiche della grande distribuzione e delle concessioni "di cassetta" passata a Venezia qualche anno fa raccogliendo, come di consueto, ottimi pareri dalla critica.
La vicenda che vide giungere al successo, dunque affrontare un processo, viaggiare dall'Inghilterra alla Francia e ai suoi salotti per poi sprofondare lentamente Saartje Baartman ribattezzata Sarah, simbolo di una cultura e di una realtà allora profondamente lontana da quella del Vecchio Mondo - non che ad oggi le cose siano diverse, forse solo meno evidenti - si lega a doppio filo a quella di molti dei "fenomeni" che in quel periodo scolvolsero la borghesia europea come John Merrick, più noto al grande pubblico come Elephant man, descritto con tocco magico da David Lynch ormai un trentennio fa: la giovane ottentotta presentata come selvaggia "addomesticata" dal suo "socio" Caezar prima e dal bieco artista di strada Reaux poi è lo specchio dell'anima del cosiddetto Continente Nero costretto a passare attraverso a secoli di schiavitù e colonialismo, privato di una dignità prima intellettuale e dunque fisica, studiato come un freak destinato ai circhi ed ugualmente in grado di esercitare sull'uomo bianco tutto il fascino primordiale che ispirò fin dall'Età della pietra le rappresentazioni ideali della Fertilità e delle forme femminili.
Forse per l'ambientazione, rispetto agli altri lavori di Kechiche il distacco dell'autore si fa più marcato - almeno dal punto di vista dell'immediatezza nella narrazione -, quasi lo stesso volesse mostrare all'audience uno spettacolo come quello che i biechi sfruttatori di Saartje offrivano promettendole un avvenire unico una volta tornata nella sua terra, dove avrebbe potuto vivere da regina - agghiacciante il confronto con il giornalista che le chiede il permesso di scrivere di lei come di una principessa - nella speranza di ricostruire una famiglia perduta fin troppo presto.
Le lunghe sequenze dedicate ai confronti tra la "Venere ottentotta" ed il suo pubblico sul palcoscenico - profondamente fisiche e d'impatto -, quelle rispetto ai suoi "soci" - in grado di sottolineare le armi attraverso le quali gli europei riuscivano ad imporsi su quelli che consideravano sempre e comunque come uomini e donne inferiori a loro, le cui ferite interiori finivano per essere guarite attraverso l'alcool, come fu per i Nativi Americani -, il confronto con la comunità scientifica - forse il più terribile - hanno il grande pregio di portare in scena una vicenda profondamente drammatica senza suggerire nulla a chi resta dall'altra parte dello schermo, lasciando che sia la coscienza del pubblico a porsi le domande necessarie ad affrontare una storia vera ed agghiacciante come questa, forse meno struggente di quella del già citato Merrick ma non per questo lontana dai cuori di ogni Uomo in grado di considerare la schiavitù - anche intellettuale e morale - una barbarie.
E la chiusura, legata a doppio filo all'incipit ed al concetto di freak show che percorre l'intera pellicola, è quanto di più drammatico gli occhi del sottoscritto abbiano osservato sul grande schermo da molto tempo a questa parte, riflessione amarissima su tante delle ferite che ancora segnano il nostro mondo e la nostra cultura.
E per nostra intendo di qualsiasi Paese.
MrFord
"Triste annoiata e asciutta
sarei la tua venere storpia
triste annoiata e asciutta
sarei un'inutile preda."Carmen Consoli - "Venere" -
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