Intendiamoci: il regista giapponese ha frotte di estimatori in tutto il mondo e merita rispetto, ma oggettivamente ci chiediamo che cosa possa portare in un concorso come quello veneziano un film come questo, se non il gusto della provocazione… ma bisognerebbe chiederlo a Muller.
Noi limitiamoci a parlare di 13 Assassins, anche se in verità c’è molto poco da dire. Il cinema di Takashi Miike ormai lo conoscono anche i sassi: storie di cappa e spada in costume, piene di samurai nobili e cattivissimi tiranni, con i primi che cercano di abbattere i secondi e far trionfare la pace: in questo caso c’è un signorotto deposto che assolda 13 valenti samurai per sterminare l’esercito del despota di turno e fermare la sua scalata al potere. La scena iniziale, appena dopo i titoli di testa, mostra senza problemi un guerriero che fa harakiri. Nella scena successiva vediamo il tiranno cattivo che con la spada stacca la testa di netto ad un servo. Passano altri cinque minuti e lo stesso cattivone si accanisce con archi e frecce sui corpi di una famiglia intera condannata a morte per chissà cosa… si va avanti così per due ore al ritmo di un morto ogni trenta secondi circa. Nelle scene di battaglia (interminabili) sembra di avere tra le mani un joystick e divertirsi a giocare a un videogame per vedere chi abbatte più nemici.
Si ha un bel dire che la violenza mostrata in modo così ingenuo e surreale non fa del male a nessuno, e che solo uno stupido (o in malafede) possa ritenerla dannosa e pericolosa, ma anche in questo caso ci si continua a chiedere quale sia il senso di certe produzioni.
Col massimo rispetto, solo ed esclusivamente per appassionati.
VOTO: *