Eccolo qui il vero candidato al Leone d’Oro. Vedrete che se non vincerà ci andrà molto vicino. Lo diciamo perché il Tarantino presidente di Giuria non potrà non amare questo film (e infatti vi garantisco – ero in sala a pochi metri da lui – che alla comparsa dei titoli di coda il prode Quentin era in brodo di giuggiole…). L’ultima opera di Alex De La Iglesia è infatti un ‘concentrato’ di tutto quello che è la ‘summa’ del cinema tarantini ano: azione, violenza, sesso, orrore, morte, humor nero…
Balada triste de trompeta è una pellicola a tinte fortissime, volutamente macabra, sempre costantemente sopra le righe e sempre eccessiva, un autentico ‘delirio’ visivo di indiscutibile potenza e temerarietà. E ha avuto coraggio anche Marco Muller a portare in Concorso un titolo così particolare, a metà strada tra il fumetto e l’horror, sicuramente non per tutti (si allontanino coloro che sono ‘di bocca buona’ e amanti del cinema iper-autoriale… insomma, astenersi perditempo!).
Un avvertimento, però, anche ai fan di Tarantino: non aspettatevi di vedere un videogame pieno di morti e sangue a ritmo di musica come un ‘Kill Bill’ o un ‘Machete’ qualsiasi: qui la violenza, seppure in quantità industriale, non è gratuita e non è fine a se stessa. E, soprattutto, il film è inserito in un contesto storico particolare, che ha un’importanza e una morale fondamentale per la sua comprensione.
La storia è quella di due artisti circensi che, nella Spagna franchista (attenzione a questo ‘piccolo’ dettaglio…), si contendono l’amore di una bella trapezista. I due sono totalmente diversi per carattere e idee: Sergio, capo-clown, è sanguigno, tirannico, ubriacone e donnaiolo. Javier, pagliaccio triste, è timido e compassato, ma dentro di sè ha un insaziabile desiderio di vendetta verso il regime e i despoti in generale, e questo in seguito alla morte violenta del padre, ucciso dalle truppe governative. I due si trovano ben presto in conflitto tra di loro, reclamando entrambi il cuore della donna: una gelosia che li farà impazzire, massacrandosi a vicenda in modo così cruento da far rivoltare lo stomaco anche degli spettatori più smaliziati, e riducendosi a due penosi ‘freaks’ che faranno inorridire anche la persona amata.
La morale è evidente, ma non banale: le dittature e i regimi totalitari possono trasformare e far impazzire chiunque, anche la gente ‘normale’, forse la più incapace di comprendere i motivi di tanta rabbia, odio e orrore, e quindi più vulnerabile di altri…
E’ curioso notare che a questa Mostra del Cinema è presente anche un’altra pellicola (da noi recensita) che ha moltissime similitudini con questa, pur essendo stilisticamente ben diversa: si tratta di Post Mortem di Pablo Larrain: anch’essa infatti ‘parla’ spagnolo, ha una rivoluzione sullo sfondo (quella cilena, e anche l’anno è lo stesso: il 1973!) , e tratta di una persona apparentemente ‘normale’ che gli eventi trasformano tragicamente. Due modi diversi di fare cinema, ma che conducono allo stesso fine.
Anche questo è il bello dei Festival.
VOTO: * * * *