Il terzo film della giornata è questo. Gli attori entrano, vengono presentati, applausi misti a sguardi perplessi. Ma chi sono questi qui? Va beh, saranno personaggi famosi nel loro paese. Ah, il film è italiano? Come non detto. Un po’ dubbioso mi siedo, mi metto comodo, anche se in terza fila laterale causa pienone, e mi godo il film.
Il commento a caldissimo è che col senno di poi avrei potuto rimanere al bar a bere una granita al limone.
Il commento a caldo è che questo film fa cagare.
Il commento a un po’ meno caldo, cioè a tiepido, è che questo è un tipico film italiano contemporaneo. Purtroppo.
La trama. Siamo in Veneto. Due ragazze, amiche e colleghe, decidono di ricattare un amico di famiglia, con tendenze fru fru, della prima, servendosi del ragazzo albanese della seconda. Tra feste di paese simil-leghisti, bestemmie in veneto (true story) e ronde padane, si sconvolgerà la vita della piccola comunità. Un episodio di due ore di Incantesimo in veneto e albanese.
Cinema.
Partiamo con calma dicendo che questo è un pessimo esempio di cinema italiano. Proprio pessimo. Non possiamo presentare una pellicola del genere in un festival del cinema così importante da un punto di vista internazionale. Ci troviamo tra le mani un film con tantissime pecche e veramente pochi punti a favore che non riescono a salvare nemmeno quelle due o tre sequenze apparentemente riuscite. E’ l’ennesimo film corale con forte stampo documentaristico che cerca di raccontare i problemi, gli ideali e le vite di una parte d’Italia fortemente industrializzata. Ma mettere in pratica il tutto è un’altra cosa. Nonostante si tratti di un genere completamente differente, consiglierei la visione del film di Sion Sono per capire come si crea un film incredibilmente corale e con una notevole quantità di personaggi ben caratterizzati e diversi tra loro. Mentre Piccola Patria, nonostante abbia tipo dieci personaggi in totale, riesce pure a farteli confondere. Ma è tutto sbagliato, sin dalla sceneggiatura.
No cinema.
Questo è un film storicamente sproporzionato e fin troppo logorroico a causa di una sceneggiatura mal riuscita, nonostante sia il primo approccio al lungometraggio di Alessandro Rossetto, autore anche della regia. Storicamente sproporzionato perchè, osservando oggettivamente lo svolgimento della trama, vediamo che per un’ora e mezza non succede praticamente nulla. Ma proprio nulla. Dialoghi su dialoghi, battute su battute in veneto o in albanese, personaggi che scappano e poi tornano, episodi che servono solo ad allungare il brodo di una pellicola esageratamente lunga (vedi la sequenza del ritrovamento dell’auto rubata). Poi, ad un certo punto, quando probabilmente gli sceneggiatori si sono svegliati dal torpore del loro sonnellino pomeridiano, hanno capito che avevano scritto troppo ma che allo stesso tempo non accadeva nulla: quindi il film accelera improvvisamente. Gli eventi cominciano a velocizzarsi, la tensione accumulata in un’ora e mezza (una delle poche cose positive, ne parleremo dopo) sfocia in un finale bruttino e vigliaccamente mozzato, incapace di concludere una vicenda evanescente e piuttosto inefficace.
Altra cosa degna di nota, ma in puro senso negativo, è la recitazione in puro stile italiano: così carico, così eccessivo e così finto. Una recitazione che impedisce completamente allo spettatore di immedesimarsi con i personaggi e di calarsi nella vicenda ma, anzi, che gli procura non pochi attimi di imbarazzo durante molteplici dialoghi e situazioni. Un cast, capitanato da Lucia Mascino e Giulio Brogi, non salva per nulla una pellicola destinata immediatamente al dimenticatoio.
Concludiamo la carrellata delle pecche parlando della regia, deludente a metà. Apprezzando il tentativo dell’approccio documentaristico della vicenda, puntando quindi sul realismo estremo, bisogna però capire che si tratta comunque di un lungometraggio di finzione. E che, quindi, non è un documentario. Ci possono essere influenze ma, prima o poi, la telecamera bisogna piazzarla in modi decenti e, volendo, anche in maniera originale. Cosa che accade raramente, regalandoci spesso inquadrature di primi piani che invece che avvicinarmi ai personaggi non ha fatto altro che ricordarmi la regia di un cinepanettone a caso. Regia troppo anonima che si appoggia ad un forte realismo che è un problema ed un piccolo punto a favore, allo stesso tempo.
Un punto a favore perchè comunque la crudezza con cui questa nullità di storia viene raccontata è notevole. Non c’è un personaggio che sia simpatico: sono tutti delle carogne. Un tono che, insieme alla fotografia della pellicola costantemente fredda e impersonale in maniera voluta, permette la trasmissione una certa quantità di tensione dovuta probabilmente alla lentezza della vicenda e alla spregevolezza dei personaggi, così disprezzabili e così (più o meno) imprevedibili.
Cinema.
Inoltre, una menzione alla musica che, se da un lato, è da premiare per l’originalità, dall’altro penalizza il film relegandolo ad un tipico modo italo – provinciale di fare cinema.
Concludendo, Piccola Patria, con il senno di poi, contiene qualche elemento degno di nota che, però, non riescono per nulla a salvare la faccia di una pellicola superflua nel panorama cinematografico italiano. Una pellicola che ovviamente non può che affossare ulteriormente l’immagine di un cinema già fortemente in crisi e che non può cercare sempre e solo in due generi in croce (dramma e commedia) il salvatore della patria. Apriamo gli occhi e siamo creativi.
E, per quanto mi riguarda perciò in maniera assolutamente soggettiva, il dramma socio-corale italiano ha rotto il cazzo. L’ho detto, ecco.