Venezia 70: “Trap street” di Vivian Qu, il trabocchetto cinese (Settimana della Critica)

Creato il 02 settembre 2013 da Taxi Drivers @TaxiDriversRoma

Anno: 2013

Durata: 93′

Genere: Drammatico

Nazionalità: Cina

Regia: Vivian Qu

Sembrava un film timido. Questo avremmo potuto pensare vedendo prima la regista, con gli occhi abbassati, mentre proferiva timidi monosillabi di risposta alle domande del pubblico. In realtà, l’opera prima di Vivian Qu è un urlo a squarciagola, un affronto-confronto-scontro con quella che è la realtà cinese odierna.

La storia scelta racconta perfettamente la sorveglianza stretta a cui tutto il popolo cinese è costretto quotidianamente, allietando le giornate di quel Grande Fratello che non si fa scappare nulla, a costo di imbastire storie assurde per giustificare il proprio operato di controllo estremo.

La vicenda racconta di Li Qiuming, un giovinetto di Nanchino, appena assunto in una ditta che si occupa di rilievi per mappe GPS. Le sue giornate sono particolarmente tipiche: è costretto al doppio lavoro a causa di stipendi sempre insufficienti ad assolvere a tutti i doveri; e nel tempo libero gioca con i videogiochi oppure naviga in rete e chatta. Poche interazioni, giusto i suoi amici nonché coinquilini. Durante un rilievo si imbatte in una strada inesistente, un vicolo presente nella realtà ma lasciato come un fantasma dai satelliti. Il suo interesse, però, viene catturato più che altro dalla donna misteriosa ed elegante che incontra proprio in quel posto senza nome.

Come un condannato appeso a pochi secondi dall’esecuzione, Li Qiuming si troverà accerchiato da una polizia di controllo che lo spinge a confessare colpe che non ha, tenendolo recluso alcuni giorni mentre lavora per fare terra bruciata della sua quotidianità. Il cappio piano piano si fa sempre più stretto, fino a quando il ragazzo si trova alienato e scollato dalla sua stessa vita mentre attorno a lui la gente “continua a vendere ravioli; poi, quel che fanno gli altri non interessa”.

Apologia inversa della dittatura mediatica, Vivian Qu racconta di questo mostro contro cui Li Qiuming si scontra, privo di ogni velleità combattiva e pure di qualunque strumento per poterlo fronteggiare. Le telecamere lo sorvegliano in ogni dove, seppure lui cerchi di controllare questa lente che registra i suoi pensieri, le sue curiosità inammissibili, il sentimento per questa donna misteriosa che ha causato involontariamente la sua rovina. Geniale la relazione che la regista costruisce narrativamente con le telecamere, occhi guardoni affissi ad ogni angolo, che permettono l’evoluzione stessa della storia essendo per il protagonista prima fonte di guadagno e poi di sfacelo.

Accanto a questo, si accenna ad altre problematiche che affliggono questa società: la complessa relazione uomo donna, il legame con l’alcool, lo sfratto obbligato e la ricostruzione selvaggia delle città che mutano forma continuamente e non permettono ai propri abitanti di costruire un equilibrato legame di identità con lo spazio e il tempo.

Non credo di sbagliare nel dire che il film non verrà distribuito in patria. Non verrà cioè promosso nei teatri, ma piuttosto passato di mano in mano in copie DVD pirata: un tale strumento di presa di coscienza del logorante lavoro di indottrinamento e persecuzione messo in atto dalle istituzioni è un passo troppo lungo per un Paese che non gode di libertà espressiva. Il festival stesso, in un qualche modo, lo ha protetto e gli ha dato a possibilità di essere visto in questo contesto importante.

Giusto per chiarire: questa non è fantascienza.

Rita Andreetti


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