Venezia 71: “Hill of Freedom” di Hong Sang-soo (Orizzonti)

Creato il 03 settembre 2014 da Taxi Drivers @TaxiDriversRoma

Anno: 2014

Durata: 66′

Genere: Drammatico

Nazionalità: Corea del Sud

Regia: Hong Sang-soo

Un cinema delle possibilità, della casualità e della cronologia sfalsata quello del regista coreano Hong Sang-soo. Un ragazzo lascia il Giappone alla volta della Corea per ritrovare la sua amata lasciata tempo fa. Lei non è lì, è partita per seguire la ‘cura dell’uva’ e guarire da un male che non conosciamo. In un tempo e in uno spazio imprecisati la vediamo ricevere le lettere del suo innamorato, una sorta di diario scritto da lui durante i giorni della permanenza in Corea. Un diario segue appunto la logica della linearità temporale, ma una messa in scena aderente comprometterebbe la visione della settima arte di Hong. E allora lei, afferrata l’inaspettata corrispondenza, si emoziona, sussulta e si confonde, fino a lasciar cadere le lettere per poi rileggerle senza consequenzialità. La visione prende spunto dal pretesto per saltellare avanti e indietro nel tempo della memoria. Quello che in un primo momento ci sembra la ricostruzione delle giornate e dei desideri del ragazzo si dissolve nel caos dell’assenza di un prima e un dopo. Un’assenza geniale che confonde la percezione del tempo e degli eventi creando nuove opportunità narrative e interpretative. Hill of Freedom, nome del bar frequentato dal ragazzo nonché teatro di azioni e nuove situazioni, potrebbe anche essere una riflessione metacinematografica del regista, per il quale il cinema rappresenterebbe il luogo di massima libertà di espressione e di pensiero, nonché di ricomposizione selettiva di un passato tutto da ri-vedere.

Come nell’acclamato The Day He Arrives, in Hill of Freedom si parla di ritorni. Questa volta il tema del ritorno è strettamente legato all’idea dell’amore come ragione di spostamento e riformulazione di una vita nuova. “Bisogna vivere dove vive il tuo amore”, dice il protagonista che non ama ragionare per luoghi comuni durante una cena con i suoi compagni di bevute e lunghe passeggiate. E nell’attesa del ritorno della donna amata e stimata sopra ogni altra cosa, il ragazzo si abbandona all’amore carnale con la cameriera del bar, intrappolata quest’ultima in un amore tossico da cui non riesce a liberarsi.

In questo interstizio temporale coreano rievocato dalla lettura in libertà degli appunti trionfa la semplicità del quotidiano, della spontaneità dell’incontro e del sentimento, delle grandi verità rivelate durante goliardici e malinconici simposi. Alla fine (o inizio?) della storia racchiusa in poco più di un’ora la decostruzione della logica narrativa ci impone – e offre – nuovi orizzonti di lettura, dell’opera e della vita stessa. In un flusso di eventi concatenati nel rigore della casualità si ri-visualizza il passato, quindi il ricordo e la memoria che, con un pizzico di onirismo alla Hong Sang-soo, possono ricomporsi a piacimento per offrire a noi una miriade di posizioni da cui osservare.

Francesca Vantaggiato


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