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Venezia 71 - The Humbling | Manglehorn | 3 Coeurs | Terre Battue
Creato il 31 agosto 2014 da In Central Perk @InCentralPerkFortunatamente, le sezioni collaterali risollevano un po' il clima.
The Humbling
Un Al Pacino show, con l'attore tornato in splendida forma che dà vita a un romanzo di Philip Roth in cui stranamente non si parla di un ebreo in crisi, ma di un attore in crisi.
Simon Axler è infatti un quasi 70enne, che senza amici e senza famiglia perde la voglia di recitare, di calcare il palco con il suo genio. Tentati ben due suicidi, si ricovera, iniziando una divertente quanto salvante comunicazione con un psicologo. Alla sua uscita, la vita prende un nuovo corso grazie all'incontro con la giovane Pegeen, figlia di amici e lesbica, di cui si infatuerà.
Il film va però oltre una trama da seguire, perchè ruota tutto attorno all'attore, alle sue smorfie, alla sua fisicità. Ed è un vero godere, ridendo a più riprese.
Levinson capisce che Pacino è il film, e lo segue e lo scruta, con primi piani intensi e la sua voce sempre in sottofondo, che reciti Shakespeare o le sue paure.
Assieme a lui, una Greta Gerwing appesantita ma non per questo meno convincente, anzi, sempre più una conferma.
Pur ruotando attorno a se stesso, pur non chiarendo del tutto alcuni punti, The Humbling conquista, analizzando in modo convinto la crisi di un uomo e di un attore, tema ormai sempre più caro e sempre più ricorrente in questa Mostra del Cinema., e che calza a pennello addosso a Pacino.
Manglehorn
Al Pacino è il mattatore anche per David Gordon Green, ma questa volta non tutto va per il verso giusto.
La colpa non è certo dell'attore, che regala un'altra interpretazione intensa nei panni di un altro uomo solo, con il suo lavoro, e un amore perduto probabilmente per sempre. Quello che proprio non funziona è la regia, così confusa e pretenziosa che passa da rallenti, a sovrimpressioni continue e un montaggio frenetico senza un apparente motivo, utilizzando anche in modo pesante la voice over.
La stessa sceneggiatura non è nulla di così originale, e a parte qualche battuta che fa sorridere, si parla ancora e sempre del cambiamento di un uomo che riabbraccia la vita, passando per redenzione d'amore e di famiglia.
Il cast è composto anche da una sprecata Holly Hunter e da un fastidioso (ma per ruolo) Harmony Korine.
Tutto già visto, quindi, e anche in un modo migliore.
3 Coeurs
Altra delusione arrivata dalla Francia, che propone un melodramma di quelli pesanti che non trova troppa ragione d'esistere. Ritroviamo anche in questo caso una coppia d'attore già passati per il concorso (Chiara Mastroianni e Benoìt Poelvoorde) e che già non avevano convinto in Le Rançons de la Gloire.
Pur abbandonando il buonismo, si è di fronte a un triangolo d'amore tra due sorelle e un burocrate, con la passione che non viene sopita né rivelata nonostante gli anni che passano, il matrimonio celebrato e il figlio nato.
La madre sorveglia e vede tutto ma non parla.
E allora, visto anche il finale prevedibile e l'ultima scena decisamente mal girata (rallenti, perchè sempre il rallenti?), per non parlare di una colonna sonora più adatta a un thriller, se ne sentiva davvero il bisogno di un film così?
Si sentiva il bisogno di seguire i rimorsi e i desideri di un uomo incapace di dire la verità?
Charlotte Gainsbourg non poteva passare la mano e magari chiedere di cambiare di tanto in tanto il suo guardaroba?
E poi, come e perchè è in concorso Jacquot?
Domande che rimarranno senza una risposta.
Terre Battue
L'esordio di Stéphane Demoustier è decisamente promettente, ma manca qualcosa, o forse di cose ce ne sono troppe.
Nel suo film, infatti, si parla di tennis, si parla di sport e pressioni giovanili, si parla di crisi lavorativa e di un uomo disposto a reinventarsi, si parla della fine di un matrimonio e del rapporto padre-figlio inevitabilmente chiamato ad approfondirsi.
Troppo, decisamente troppo per essere appieno approfondito e apprezzato.
Ma c'è qualcosa oltre a una regia ben curata che salva il film, ed è la giovanissima età di Charles Mérienne, promessa francese del tennis che se la cava più che egregiamente anche davanti la macchina da presa.
A fargli da genitori, il buon Olivier Gourmet e la nostra Valeria Bruni Tedeschi, madre infelice e lasciata da parte.
Nonostante i ritmi serrati dei dritti e dei rovesci, si prosegue però con molta lentezza, arrivando solo nel finale a smuovere la situazione chiudendo il tutto con estrema amarezza.
Niente di così rivelatore, tirando le somme, ma una visione passabile, prodotta dai fratelli Dardenne, che probabilmente girerà nei cinema d'essai.
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