Se fosse vero che solo le cattive notizie sono “buone”, perché fanno vendere i giornali, accendono la fantasia dell’opinione pubblica e chiamano alle armi della critica, dello sdegno, della partecipazione, allora ci sarebbe qualche speranza per Venezia. Che infatti gode dei riflettori della cronaca grazie alla quotidiana ostensione di oltraggi, volgarità, barbarie e “inurbanità”, particolarmente incongruenti in quello che è stato definito il più prodigioso avvenimento urbanistico della storia, l’utopia realizzata dell’abitare. Ma esibiti come naturale e ragionevole prezzo da pagare alla modernità, al progresso, al mercato.
In questi giorni abbiamo avuto modo di sapere che mentre si tagliavano le risorse per la salvaguardia di Venezia e il disinquinamento della laguna, mentre si rosicchiano i fondi dell’istruzione pubblica, la Regione Veneto nel 2003, sotto la guida di Giancarlo Galan, ha indirizzato 50 milioni di euro stornati dalle risorse della Legge Speciale in favore per della Curia di Venezia, per promuovere il sogno visionario dell’allora patriarca Scola, un ambizioso progetto “tecnologico-culturale”, denominato Fondazione Studium Marcianum. da realizzare a Punta della Salute con una scuola media, un liceo classico e una facoltà di teologia di livello nazionale, attrezzata con una foresteria offerta a studiosi” e “relatori”. Ma la Regione non era l’unico mecenate coi nostri quattrini: la Fondazione ha potuto anche godere dei generosi “finanziamenti” di un altro sponsor generoso coi soldi degli altri, il Consorzio Venezia Nuova, che ha elargito 1 milione di euro all’anno.
Poi siamo stati aggiornati di ulteriori sviluppi di quella che potremmo chiamare senza tema di smentita “mafia-Serenissima”, grazie a un nuovo filone di indagini che conduce a Silvano Vernizzi, commissario straordinario di tutte le grandi opere viarie della Regione Veneto, e ad altri dirigenti e funzionari regionali indagati per turbativa d’asta in relazione all’assegnazione opaca ad Adria (proponente del project financing) della realizzazione del primo stralcio della Via del Mare, ora cantierabile e per la quale in questi mesi si sta discutendo in Regione l’iter del secondo stralcio.
E in contemporanea fonti sicure informano che se ne andrebbe da Venezia, come quelle migliaia di residenti che abbandonano la città ogni anno, l’Ufficio per la salvaguardia di Venezia dell’Unesco, operativo dal 1989, e probabilmente troppo operativo per i gusti dei governi che si sono avvicendati, locali e nazionali. Non stupisce questo schiaffo, il congedo dimostrativo, l’abdicazione delusa e rabbiosa di un soggetto “esterno” incaricato di vigilare su rispetto, manutenzione, tutela e custodia di un sito unico al mondo e di un sistema complesso e vulnerabile, laddove autorità, poteri e amministrazioni pubblici hanno abiurato per favorire interessi opachi, permettendo la quotidiana lesione dell’interesse generale, la progressiva cessione dei beni comuni, l’affronto, a fini di profitto, all’ambiente e al patrimonio culturale.
Non credo che chi ha remato contro la città, proponendosi anche di scavare nuovi canali per farlo meglio, se ne preoccuperà troppo. In fondo si tratta di soloni insolenti che vogliono imporre la superiorità di un sapere ammuffito, di professoroni misoneisti che ostacolano la crescita, di disfattisti che ostruiscono il cammino inesorabile del progresso, proprio come le sovrintendenze le autorità di sorveglianza, probabilmente anche la Commissione Via che ha osato mostrare incoraggianti segni di autonomia, sollevando pesanti riserve proprio in merito alla realizzazione del Canale di Contorta che dovrebbe dirottare in una nuova via acquea lo scempio del passaggio delle Grandi Navi. Proprio come –inopportunamente si direbbe – aveva fatto l’Unesco, facendo intendere sia pure non esplicitamente nel suo pronunciamento di maggio scorso rivolto all’amministrazione comunale, che Venezia potrebbe essere inserita nella danger list dei beni se non rispetterà requisiti di conservazione, cura e gestione corretta e razionale 1987 delle sue bellezze, che le hanno conquistato l’inserimento nella World Heritage List nel 1987.
E infatti, incurante del discredito che comporterebbe una decisione ad altissimo valore simbolico, che segnala il disappunto di chi ritiene che Venezia, il patrimonio artistico italiano, la bellezza siano e debbano essere di tutti, e come tali debbano essere responsabilità e diritto “universale”, il Comune commissariato risponde «abbiamo firmato un accordo a tre parti, Repubblica italiana, Unesco e Comune di Venezia. E se l’Unesco sta ridiscutendo le sue sedi è un altro discorso: non ci riguarda direttamente e non abbiamo voce in capitolo».
Ma si, se ne vadano quei brontoloni, meglio altri guardiani. Ma si, meglio far senza quei sapientoni retrogradi, magari il turismo virtuale e non, in una città sommersa rende di più.
Ma si, basta stare a sentire quei gufi che si lagnano sempre e su tutto: sugli impatti che il progetto di attraversamento del territorio vicentino della ferrovia Alta Velocità può arrecare al sito patrimonio dell’umanità in territorio berico, che denunciano pubblicamente gli effetti della corruzione che ha condizionato i lavori del Mose e forse addirittura la scelta che lo ha ispirato, che nel corso di quest’anno consegnerà il suo «bollino rosso» al governo e alla città, misura priva di potere coercitivo, ma che trasmette un messaggio inequivocabile di condanna per una gestione tanto irresponsabile da sconfinare nella illegalità criminale.
E lo credo, i 13 punti con i quali l’Unesco aveva lanciato il suo esplicito avvertimento all’Italia toccano proprio i capisaldi dell’ideologia dominante in materia di “giacimenti” culturali, da sfruttare come petrolio, da cedere come costoso ingombro del quale è preferibile liberarsi, da piegare alle esigenze rapaci e illimitate di padroni avidi, sempre gli stessi, quelli delle cordate di scavatori del Mose, dei corsari delle crociere, dei pirati delle autostrade, dei trivellatori inesauribili, degli instancabili perforatori di montagne, dei costruttori di inutili piramidi che non sono buone nemmeno a far lavorare nuovi schiavi. Proprio allora, chiedendo l’estromissione delle grandi navi, la gestione dei flussi turistici, misure per l’assetto idrogeologico, reclamando un report che guarda caso, dovrebbe essere consegnato proprio entro l’1 febbraio, l’Unesco aveva mandato un avvertimento un monito che ricordava quello lanciato in occasione della minaccia, poi concretizzata, della distruzione dei Buddha di Bamiyan. Mi è già successo di dirlo qui https://ilsimplicissimus2.wordpress.com/2015/01/14/talebani-di-casa-nostra/ , altro che guerre umanitarie in Afganistan, i talebani sono tra noi.