Anna Lombroso per il Simplicissimus
Al Gazzettino non sono piaciuti gli sponsali hollywoodiani, i motoscafi correvano troppo in Canal Grande, incuranti del moto ondoso, l’idolo delle signore è taccagno e per risparmiare ha scelto una location più economica di altri fastosi palazzi “dedicati” a pomposi eventi, la riservatezza degli ospiti non ha portato gli auspicati proventi nelle boutique delle grandi firme, che vendono prodotti sempre uguali, a Venezia come a Dubai, a Los Angeles come a Tokio.
È che la voce dei padroni veneziani avrebbe gradito più sfarzo, più foto ricordo con le poche autorità ancora a piede libero, soprattutto più volgarità, che sembra essere la cifra di chi comanda nelle città d’arte, in modo che si convertano velocemente in supermarket di tarocchi dei vetri, delle maschere, dei merletti, in sfondo per selfie, in Disneyland nostrane, in parchi monotematici di antiche grandezze, da attraversare in fretta come fanno i forzati delle crociere o meglio ancora da guardare dall’alto di un ponte, mentre si sfiorano antiche pietre, che pur avendone viste tante, si sorprendono dell’ultimo oltraggio.
Venezia continua a popolare i sogni, continua a occupare l’immaginario mondiale. Ma c’è da temere che quella sua “irradiazione”, il suo mito sempre più pop, siano legati più che alla sua singolarità, alla sua unicità, all’attesa catartica della sua fine, dello sprofondamento come una nuova Atlantide, dell’acme della sua decadenza di città stato, superpotenza, Serenissima, un processo esplorato dagli storici ma divenuto epifania simbolica e mito romantico, così che il tema della bellezza della morte sostituisce quello della magnificenza, dello splendore.
C’è da presumere che quelle migliaia di persone stipate sulle grandi navi che l’attraversano sfrontate e intimidatorie, segretamente si augurino di assistere e testimoniare del botto, della piccola apocalisse, con relativa sommersione, della punizione di una città troppo fuori dall’ordinario e dall’egemonia miserabile e distruttiva del presente. C’è da essere sicuri invece dell’odio che le porta il ceto al governo, locale e nazionale, che ne ha fatto un test dell’ingiuria, per vedere fino dove ci si può spingere con l’avidità di profitto, con la corruzione anche delle leggi, confezionate su misura, con la commercializzazione di un’utopia, con il cemento spacciato per salvezza, con il gigantismo irrinunciabile, malgrado i suoi mini profitti.
C’è un proverbio che si adatta bene a quello che sta accadendo: xe peso el tacon del sbrego. Il canale che verrà scavato per “deviare” il passaggio delle grandi navi, può essere peggio del “sbrego”, ma si sta rivelando addirittura più redditizio. E quindi si farà.
Lo vogliono gli armatori, lo vogliono le agenzie che smistano nei mari del mondo le nefande galere del turismo fotografa e fuggi, lo vogliono le cordate di imprese, sempre le stesse, quelle del Consorzio, che “per legge” è il soggetto incaricato di realizzare gli interventi nella gronda lagunare, le vuole il Ministro “competente”, quello dello svendi Italia, che considera il passaggio delle maxi navi a Venezia irrinunciabile, lo deve volere anche l’invisibile ministro dell’Ambiente che accetta la manomissione della procedura di valutazione di impatto ambientale, si suppone lo voglia anche quello dei Beni Culturali che tace come se non fosse affar suo, lo vuole soprattutto l’Autorità del Porto, per bocca inesauribile del suo sfacciato presidente, quel Paolo Costa che ha già ricoperto tutti i ruoli più influenti in città, incontentabile. E che ora sembra ormai esserne definitivamente gestore unico al servizio di quei generali che scavano per riempire, abbattono per tirar su in una infernale ammuina di grandi opere inutili e dannose, che di solito si rivelano, come il Ponte sullo Stretto, il Mose, la Tav, più profittevoli se non le fai.
Ma c’è da temere che il Canale di Contorta invece si faccia. A chi gli contesta di aver ottenuto una procedura di Via dimezzata, in modo da contenere in 30 giorni eventuali opposizioni e contestazioni dei cittadini, Costa risponde: facciano ricorso. A chi rileva che si tratta di un’opera che minaccia il delicato equilibrio idrodinamico del bacino, Costa risponde che la Laguna è sempre stata oggetto di opere, che la Serenissima è stata instancabile nel realizzare interventi e uno in più non può essere così pericoloso. A chi denuncia sconcertato che la Commissione di Valutazione di impatto ambientale è stata “arricchita” di una personalità tecnica discutibile, quel Giuseppe Fasiol che era stato arrestato il 4 giugno nell’ambito dell’inchiesta Mose su mandato della procura veneziana con l’accusa di «essersi messo come dirigente regionale a disposizione di Baita e Minutillo al fine di accelerare l’iter procedurale dei project financing presentati da società del gruppo Mantovani», Costa risponde accusando di “sciacallaggio” chi “se la prende con funzionarietto e fa radiografie alle persone a prescindere dalle competenze”. A chi chiede trasparenza sulle procedure di affidamento dei lavori, ricordando che la Mantovani ha firmato con Tethis il progetto preliminare dell’off shore per le merci in Adriatico e presentato proposte anche sul tracciato del nuovo canale, Costa risponde che verrà fatta una gara. A chi mette in luce che non c’è certezza del diritto in procedure e aggiudicazioni accelerate rese possibili nell’ambito della Legge Obiettivo, come se fosse di un’opera strategica di interesse nazionale, e che conferma la eccezionalità di Venezia, permettendo appunto mostruose eccezioni, Costa risponde che è inevitabile procedere in fretta e fuori dalle regole: il mondo ci guarda e aspetta una soluzione per il passaggio delle grandi navi. E la soluzione non può che essere la nuova via d’acqua per far arrivare le navi in Marittima senza passare da San Marco: 150 milioni di spesa, 6 milioni e mezzo di fanghi da scavare per costruire un’autostrada d’acqua dove adesso è il piccolo canale Contorta, che andrà portato da 10 a 120 metri di larghezza, scavato da 2 a dieci e mezzo.
C’è stato un tempo nel quale la comunità internazionale si mobilitava per il destino di Venezia, ma non aveva ancora prevalso la convinzione che cultura, arte, paesaggio valgano in quanto merci, prodotti, salame da mettere tra due fette di pane che si mangiano pochi mentre molti muoiono di fame, fame vera, che lo è anche quella di bellezza e sapere.
Qualche speranza c’è in una città sempre più impoverita di abitanti e di energia, mortificata da passanti frettolosi e indifferenti. Qualcuno si sente defraudato. Qualcuno è in collera per l’esproprio di beni e diritti, compreso quello di partecipare a un processo decisionale che interessa i cittadini del mondo. Qualcuno protesta e si muove attraverso quegli strumenti della democrazia nei quali ancora confida chi crede a uno stato di diritto. Non lasciamoli soli: http://gruppo25aprile.org/