Anna Lombroso per il Simplicissimus
Di là dal fiume tra gli alberi: la fortuna di un romanzo tra i meno felici di Hemingway nasce dal titolo che evoca l’immagine stralunata e visionaria di una grande vela latina che passa silenziosa tra gli arbusti, l’alta vegetazione e i salici delle barene e delle rive del Sile.
Al giorno d’oggi è diventato un grande spettacolo a beneficio dei turisti il passaggio, mostruoso invece, e minaccioso e brutale, di immense navi multipiano che si stagliano, come improbabili monumenti alla neo barbarie, tra le chiese e i palazzi di Venezia.
I visitatori sono eccitati dalla probabilità del rischio, dalla sua immanenza, che potrebbe accelerare e coronare l’attesa messianica dello sprofondamento della nuova Atlantide, tanto evocato nella letteratura catastrofista. E il grande fotografo Berengo Gardin non si sorprende. I croceristi sono rassicurati dalla conferma del loro immaginario abituale: guardare Venezia dal sesto piano della nave equivale a visitarla nelle versioni/giocattolo artificiali di Las Vegas e delle innumerevoli Disneyland di ogni latitudine, modellini e miniature, sfidando ragione e rispetto, incuranti del pericolo che ogni passaggio saggia come un test aberrante.
Le foto e i filmati dell’arrabbiato e festoso arrembaggio dei veneziani alle maxi navi, i vaporetti pieni di bandiere e cartelli con il No, sventolato e gridato, rallegra e fa sentire un po’ meno cocente l’invidia per quel collaudo di partecipazione che si sta tenendo in Turchia, nato dalla protesta in difesa di un piccolo bosco urbano e che ha investito i temi della tutela dell’ambiente, la laicità, la richiesta di intervenire nei processi decisionali, insomma la democrazia.
“Questo non è per un parco, questo è per la democrazia”. Il loro slogan si adatta a tutte le battaglie per il territorio, per l’ambiente, per la qualità urbana, contro la muscolarità neoliberista, contro le grandi opere inutili, contro il cemento: “Questo non è per Venezia soltanto, è per la democrazia”, e si batte per la possibilità di dare voce ai cittadini, per far contare la loro opinione, per difendere i beni comuni, per tutelare l’interesse generale, contro gli abusi del profitto, per la ragione di tutti contro l’ irragionevole tornaconto privato.
Mentre i veneziani manifestavano, esprimevano il loro dissenso anche molti bolognesi poco persuasi dalle magnifiche, dinamiche, futuriste sorti e progressive dell’alta velocità nella loro città, inaugurata proprio sabato alla soddisfatta e compiaciuta presenza del parterre del Pd, plaudente a un’opera molto discussa a causa della vicinanza della falda, ma soprattutto dell’elevata densità abitativa del sito, costata molto più del previsto e che ha sottratto fondi a altri interventi al servizio della mobilità urbana e di servizi probabilmente più urgenti e opportuni.
A conferma che in effetti c’è il bipolarismo in Italia, e si esprime come conflitto ormai aperto tra democrazia e privatizzazione delle scelte e della politica che ne è il teatro, tra conservazione e manutenzione dei beni comuni e gli interessi di cerchie ristrette ed esclusive, tra esigenze di rivendicazione dei diritti di cittadinanza e della sovranità di popolo e di Stato e il progressivo smantellamento dell’edificio costituzionale, del parlamentarismo e della rappresentanza.
Le risposte alle manifestazioni di Venezia sono state repressive e offensive. Difensive grazie a una gestione un bel po’ robusta del cosiddetto ordine pubblico, esercitata in difesa delle multinazionali delle crociere, dei loro protettori in Comune e nell’Autorità portuale – quelli che hanno suggerito quel risibile paradosso che deroga le regole del passaggio delle maxi navi proprio a Venezia, il posto più vulnerabile del mondo, dopo il Giglio e prima di Genova –, e a tutela del decoro, che mica si può dare quel pessimo spettacolo di inospitalità a turisti che pagano per godersi la città supina i loro piedi. E offensive grazie alle menzogne prontamente lievitate, dell’organizzazione barbarica e impudente che sta dietro al business: ogni mese il valore dell’indotto comunicato dagli spregiudicati padroni e predoni del mare, sembra lievitare come il pane, da 300 milioni è passato a un miliardo di euro; la forza lavoro, che i dati ufficiali dell’Autorità Portuale fissano i 2.175 persone, è dichiarato in tre volte tanto.
In realtà le grandi navi ai veneziani non rendono un bel niente. I turisti vomitati fuori dalle viscere lussuose delle maxi imbarcazioni non spendono un euro, già dissanguati all’origine, invogliati a comprare i souvenir de Venise, fabbricati in Corea, nel duty free a bordo, sciaguratamente menati in giro da guide sgangherate e desiderosi solo di tornare sul ponte, ma della nave, a guardarsi la città dall’alto come un modellino della Lego.
I vantaggi economici del crocerismo – se ci sono, finanziano i patti scellerati stretti tra i partner locali e non – sono ampiamente pareggiati dai costi ambientali, dai danni ai monumenti, dal dissesto della laguna, dalla salute dei cittadini compromessa dalle polveri sottili, dalla convivenza silenziosa, ma sempre presente e insinuante, con il rischio.
A Venezia si sperimentano fantascienza: la lotta contro i mostri che vengono dal mare. E scienza: quella della democrazia al servizio della cittadinanza contro il profitto di pochi.