Anno: 2012
Durata: 112′
Genere: Commedia
Nazionalità: Francia/Belgio
Regia: Xavier Giannoli
Approdo a Venezia 69 con un primo lungometraggio realmente attuale per la tematica che abbraccia-sfonda. Superstar di Xavier Giannoli, in concorso per questa edizione, decide di trattare l’‘intrattabile’: la totale perdita di confine tra il reale e il virtuale, osmosi collettiva subdolamente insinuatasi nella nostra società massificata e globalizzata sempre più intensamente dentro scelte totalmente autoindotte, falsamente libere. Giannoli, stimolato dalla lettura de L’idole (L’idolo), racconto di Serge Joncour su di un uomo che diviene notorio-famoso all’improvviso, senza conoscerne il perché, decide di trasporlo-riadattarlo in immagini, incoraggiato dallo stesso autore nell’assorbirlo liberamente.
Martin Kazinski (un Kad Merad esageratamente trattenuto) è un parigino 43enne celibe senza troppe ambizioni, che vive la sua esistenza riciclando-riutilizzando pc, gestendo un gruppo di disabili che gli si affiancano nell’attività presso una piccola società. A prima inquadratura (e anche a seconda inquadratura), impressa sul volto, infrangibile, la sua essenza: bonarietà-arrendevolezza-mitezza, anonimo tra gli anonimi, condizione serenamente-‘rassegnatamente’ vissuta. Fino a quando (e la pellicola si avvia con tale pedinamento), in metro, comincia ad essere adocchiato: una ragazza carina, poi una donna che gli chiede una firma, in successione, scatti-riprese in smartphone da parte degli astanti… Martin viene letteralmente circondato, da puri e totali estranei, che lo chiamano per nome e cognome, gli chiedono una posa, si contendono la ricerca di attenzioni, lo fissano dentro immagini. L’uomo, incredulo e scosso, cerca di liberarsene, ma all’esterno è anche peggio… Tutti lo riconoscono, con stupefacente e fagocitante meraviglia di trovarselo a fianco, vogliono potersi impossessarsene-fissare-condividere il momento.
Da quel giorno per l’uomo ha inizio un autentico calvario: non scoprirà mai il perché sia divenuto ‘famoso’, verrà usato ferocemente dalla tv che fagociterà il suo ‘autentico’ caso: Fleur Arnaud (Cecile de France, al solito attraente-coinvolgente, anche grazie ad un – questo sì originale – peculiarissimo vezzo), giornalista inconsapevolmente in limbo tra vera cronaca e becero squadrismo voyueristico della sua emittente televisiva, lo consegnerà nelle braccia dei propri massacratori mediatici, nel tentativo iniziale di aiutare un uomo in estrema difficoltà a rifiutare una celebrità (contemporanea) completamente distorta, non legata a qualità realmente capaci di fungere da stimolo per i propri ammiratori, ma semplicemente ad uno status: visibilità fine a se stessa, nel Web, su Youtube. Perché (questo il tema che la pellicola affronta in maniera solo superficialmente efficace), il quesito di fondo irrisolto-irrisolvibile (forse) è la caduta del confine tra il vissuto fisico-materico-reale-tangibile e il virtuale parallelo esistenziale.
Oggi (chi più, che meno, anche inconsapevolmente), viviamo di vita riflessa, delegando emozioni, sogni, incontri, esperienze, cadute-rinascite a macchine capaci di ‘riprodurle’ (tv, pc, i-phone, tablet…): la crudeltà e la ferocia della nostra società ha imposto una competizione sempre più alta e fuori controllo: il denaro pare l’unica meta indispensabile da realizzare, per tamponare l’ansia di bisogni più primordiali (sicurezza-autoconservazione, amore-affetto, sesso, conoscenza-consapevolezza) cresciuti incommensurabilmente e totalmente sfuggitici di mano. Perdutone-affossatone il senso, siamo caduti in un buco nero che tentiamo di annullare-esorcizzare alienandoci il più possibile.
Xavier Giannoli contiene tutto questo dentro una grammatica filmica abbastanza stereotipata, rimanendo dentro l’alienazione che racconta. Né nel trattare l’immagine, né nell’articolare-narrare la vicenda, l’outsider Martin riesce ad apparire realmente-potentemente outsider, capace di staccarsi da quella patina di rivissuto anche visivo che ci ritroviamo davanti. Il cinismo dei media è un dato di fatto ormai, così come l’ossessione-nevrosi di una condivisione della privacy a tutti i livelli. Non basta più semplicemente documentarlo, attenendosi ad un canovaccio ‘sicuro’ (a partire da una colonna sonora falsamente ‘allarmante’, a cui siamo ormai totalmente assuefatti, per proseguire nel tratteggio di personaggi-situazioni molto stilizzate, anche nelle porzioni più ‘originali’ che le includono, nei quali non si va realmente a fondo, sicuri del loro impatto superficiale bello lampante, e rimanendo sempre in un cerchio assolutamente lineare, guai a deviarlo anche nel raccontare un paradosso molto vicino alla realtà).
Il panico di Martin non ci attanaglia, non ci allerta realmente della strada di non ritorno da tempo intrapresa: l’umano si allontana sempre più da noi stessi, e la macchina diviene la nostra seconda chance, nella quale gettare-dimenticare tutte le frustrazioni di una corsa al rialzo quasi impossibile da tenere, ormai, per l’uomo globalizzato.
Maria Cera
Scritto da Maria Cera il ago 30 2012. Registrato sotto IN SALA, RECENSIONI FILM VISTI AI FESTIVAL. Puoi seguire la discussione attraverso RSS 2.0. Puoi lasciare un commento o seguire la discussione