Un road movie sui generis, privo di 2 o 4 ruote, ma con 3 cammelli e un cane. Un viaggio della speranza verso la vita e la scoperta di sé, un cammino di formazione lungo nove mesi, come una gestazione, un bambino, una nuova vita. Tracks di John Curran racconta la vera storia di Robyn Davidson, viaggiatrice che attraversò l’Australia per 2.250 chilometri. Meta: l’oceano. Pur con alcuni accorgimenti stilistici simili, vedi l’ampio uso dei rallenty, Tracks è meno intellettuale e più emotivo di Into the wild di Sean Penn, col quale il paragone pare inevitabile. Meno filosofia e più poesia, poesia costante e inebriante, grazie anche ad una colonna sonora instancabile, epica e dolce allo stesso tempo.
A differenza di Mr. Supertramp, per la “signora dei cammelli” (come la chiamano i locali) il viaggio non è “improvvisato”, ma preceduto da un training nel quale impara ad addomesticare le fide “navi del deserto”. Un track personale, ma non in solitaria, per un personaggio cosciente di come non si possa fare a meno degli altri tappa dopo tappa. Così, se non fosse per Smolan che costella di galloni d’acqua l’ultimo lungo tragitto in terre deserte o l’anziano aborigeno autorizzato a passare per i “luoghi sacri”, Robyn non arriverebbe mai alla meta. Pur con questa ambivalenza tra l’io e il noi, il film di Curran, dotato di una splendida fotografia e di una regia empatica e avvolgente, non cala dall’alto mere filosofie sul viaggio. Rifuggendo intenti moralistici e moraleggianti, ci presenta un’esperienza di vita unica, fuori dal comune, che affascina sin dall’inizio. Un La mia Australia che commuove e lascia nello spettatore una traccia di lunga durata.
Voto: 8