Manglehorn di David Gordon Green. Con Al Pacino, Harmony Korine, Holly Hunter. Usa. Venezia 71-Concorso.
Delusione grande. David Gordon Greene, che con Prince Avalanche (alla Berlinale) e Joe (l’anno scorso qui a Veezia) ci aveva conquistati, stavolta realizza un film scombinato, irrisolto, anche irritante. Sbaglia molto, anche perché rischia molto, destrutturando la narrazione, facendosi dettare il ritmo e tutto il film da un Al Pacino bravo (e mica lo scopriamo adesso) ma troppo dominante, procedendo anarchicamente per annotazioni casuali e anche per deviazioni. Tutto piuttosto insolito e coraggioso per un film americano, per quanto indie. Film su un uomo vecchio e solo, attaccato solo alla sua gatta Fanny, al suo lavoro nel negozio di ferramenta, senza alcuna relazione con il figlio lontano. A irritare è l’estenuante monologo interiore del protagonista in forma di immaginaria, interminabile lettera a Clara, grande amore della sua vita che purtroppo lui si è lasciato sfuggire. Pessimo, fintissimo, consolatorio finale (sono parecchi a questo festival i film rovinati da un finale sbagliato). Però David Gordon Greene azzecca qualche sequenzamagnifica. L’incontro con il figlio, di una spietatezza che è raro vedere. La parte nel bordello festit da un suo ex allievo di origine ibanese (attenzione, è l’Harmony Korine regista di Spring Breakers). La lunga carrellata sulle macchine incidentate a travolte da un carico di angurie (mi ha ricordato Weekend di Godard). L’intervento chirurgico alla gatta, la corte sottoforma di canzone di un uomo a un’impiegata di banca. Pezzi che ci confermano il talento di DGG, che ci fanno caire che film sarebbe potuto diventare Manglehorn.