‘No One’s Child’, vincitore della Settimana della critica
ore 9,oo: Good Kill di Andrew Niccol. Venezia 71-Concorso. Voto 4 e mezzo
Il ventesimo e ultimo titolo del concorso è stato una delusione. Ottima l’idea di partenza di Andrew Niccol – che dalla realtà simulata è sempre stato attratto, da The Truman Show (era suo lo script) a S1mOne a In Time – di costruire un film intorno a un pilota di droni. Uno che a undicimila chilometri di distanza premendo pulsanti e manovrando joystick come alla playstaton decide come e quando e quanti bersagli colpire laggiù nell’Afghnistan talebano. Guerra pulita fuori e sporchissima dentro. Difatti il protagonista Tommy, un brav’uomo, a un certo punto comincia a schizzare. Il film funziona fin quando c’è da fare la guerra (le immagini video sono impressionanti), perde colpi quando deve star dietro alla crisi di Tommy e di sua moglie. Che a un certo punti ti chiedi dove vada a parare Niccol, e la risposta è: da nessuna parte.
ore 11,30: No One’s Chils (Ničije Dete) di Vuk Ršumovič. Serbia-Croazia. Settimana della critica. Voto tra il 7 e l’8
Ha vinto oggi, meritatamente, il premio del pubblico RaroVideo come miglior film della Settimana della critica (dove, vale la pena ricordarlo, si danno solo opere prime). Jugoslavia prima della dissoluzione, alla fine degli anni Ottanta. In un bosco della Bosnia viene trovato un ragazzino nudo, un selvaggio che mai ha conosciuto il mondo civile. Storia, peraltro ispirata a un fatto realmente accaduto, che ricorda quella di altri bambini-lupo o rimasti allo stato di natura raccontati dal cinema, da L’enfant sauvage di François Truffaut all’Enigma di Kaspar Hauser di Werner Herzog. Di nuovo c’è che quella di Haris, così verrà chiamato, si fa anche evidentissimamente parabola e riflessione sui labili confini tra selvaggio e civilizzato, tra natura e cultura, ricordandoci come basti un niente per riportarci tutti alla condizioni bestiali. Siamo tutti lupi, condannati a restare tali. Haris viene ospitato in un istituto per ragazzi disagiati e senza famiglia, verrà bullizzato, ma troverà anche sostegno tra gli educatori e un sincero amico tra i compagni di classe. Sarà lui, Zika, a stabilire per primo un ponte con il ragazzo-lupo. Ma seguiranno avvenimenti tragici, arriverà la guerra, tornerà il tempo dei lupi.
ore 15,00: Kreditis Limiti (Line of Credit) di Salomé Alexi. Georgia. Orizzonti. Voto 7
Il cinema georgiano si sta facendo largo nei festival con film notevoli. L’anno scorso In Bloom, lanciato alla Berlinale, quest’anno, sempre scoperto dalla Berlinale, Brides (occhio, lo danno in questi giorni al Milano Film Festival). Questo Linea di credito non delude, anzi conferma in pieno la vitalità del cinema di Tiblisi. Una donna di nome Nino, colta, elegante, ai tempi dell’Unione Sovietica assai benestante per via del padre ben piazzato nella nomenklatura, adesso se la deve vedere con degli usurai cui incautamente ha chiesto un prestito. Ed è costretta a vendere, pezzo dopo pezzo, gioiello dopo gioiello, quello che le è rimasto della passata gloria. Il tema del film è il denaro, la sua ricerca ossessiva, gli infiniti espedienti per procurarselo. Ed è questo a rendere Line of Credit così teso, così angoscioso. La regista gira e inquadra con eleganza, con alto senso dello stile, evitando le secche del neo-neorealsmo duro, sciatto, sporco e cattivo. Quello di Salomé Alexi è un racconto sulla decadenza, sulla caduta, non lontano da certo Visconti. E la figura del vecchio professore, cui l’amica legge la versione georgiana della Montagna incantata di Thomas Mann, si incide nella memoria.
ore 17,45: Burying the Ex di Joe Dante. Fuori concorso. Voto 7
Horror-comedy, e più comedy che horror, di un Joe Dant che ha deciso di divertirsi e divertirci. Riuscendoci. Un film low-budget con quattro attori giovani, sì e no tre location e molte idee e un infinito amore per i B- e Z-movies. La casa del ragazzo protagonista è tappezzata di poster di horror italiani, e sullo schermo tv vediamo scorrere La frusta e il corpo di Mario Bava che – toh la coincidenza – ho visto giusto tre settimane fa a Locarno nella retrospettiva Titanus. Il nostro coi mostri ci traffica e ci lavora, facendo il commesso in un negozio di maschere e oggettistica varia genere Halloween (è la versione pop americana dei poveri scherzi dei due sfigatissimi venditori del film di Roy Andersson). Purtroppo ha una ragazza vegana e stronzissima che gli rende la vita impossibile. E che finirà sotto un autobus, verrà sepolta ma risorgerà zombescamente a rompere di nuove le palle al bravo ragazzo. Facendone di ogni per trascinarlo con sé nell’al di là “perché il nostro amore è eterno”. A soccorrere il poveretto arrivano il fratellastro e la sua nuova ragazza. Happy end. Nei momenti migliori, ua delizia.
ore 19,30: The Golden Era (Huangjin shidai) di Ann Hui. Cina-Hong Kong. Fuori concorso. Film di chiusura del festival. Voto tra il 6 e il 7
Ann Hui aveva portato qui a Venezia in concorso nel 2011 il bellissimo A Simple Life, è tornata quest’anno come presidente della giuria di Orizzonti e per presentare questo film. Che dura la bellezza di tre ore tonde, e che a fine festival, quando hai accumulato decine di film belli e brutti, diventa una visione faticosa. Anche perché i ritmi dela regista non son certo quelli dei suoi colleghi dell’action hongkonghese, ma, come dire, assai meditativi e femminili. Però bisogna resistere. Il film ci mette parecchio a tirarci dentro, ma ce la fa. Biopic di Xiao Hong, scrittrice cinese anomala e fuori rango morta a soli 31 anni nel 1942 nella Hong Kong sotto occupazione giapponese. Se ho capito bene, i suoi romanzi sono rimasti oscurati per molto tempo e riscoperti negli anni Settanta. Da allora Xiao Hong è un culto per legioni di lettori cinesi. Donna dalla vita complicata. Donna cocciuta, indipendente, dalle scelte controcorrente, controverse. Da ragazza rifiuta il marito che le è stato assegnato dalla famglia per scappare con l’uomo di cui è innamorato. Che però la molla. Non potrà mai più tornare a casa, resterà incinta, finirà col dare in adozione il bambino che non può mantenere. Trova in un giornalista-scrittore il suo alter ego, la parte di sé che le mancava, ma sarà una storia turbolenta e piena di sofferenze. Intanto la Cina implode, nazionalisti contro comunisti, e nel 1937 comincia l’occupazione giapponese. Xiao Hong si ritrova sballottata dagli eventi, divisa tra due uomini. Nei momenti meno felici, un feuilleton. Ma la mano di Ann Hui si sente tutta, si sentono il suo tocco rispettoso, l’affetto per il personaggio. Che è davvero straordinario. A momenti, nelle scene in cui ci son di mezzo i militanti comunisti, viene il sospetto che si tratti di un film di regime, ma non è così, anche perché Xiao Hong autrice di regime non è mai stata, ed è forse per quello che i suoi lavori son rimasti sepolti per tanto tempo.