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Venosa/ Migranti. A Boreano vivono gli schiavi del nuovo millennio

Creato il 05 settembre 2013 da Antonio Conte

Questo blog si rende disponibile a pubblicare sul proprio canale foto, testi e articoli scritta da migranti che abbiano particolare valore narrativo e documentale della propria provenienza o delle condizioni sociali in cui versano popolazioni di migranti residenti o di passaggio dall’Italia. Scrivete a redazione(at)leormedeidinosauri.it

Testo di Ascanio Donadio - Pubblicato in data 01/mar/2013 –  Dal post su Youtube si apprende da hamza zirem che ”Il testo e la voce del video sono dello scrittore algerino Hamza Zirem, autore di una decina di libri. Ha compiuto gli studi universitari di letteratura francese e ha insegnato per quindici anni nelle scuole superiori. Nel 2009 è stato ospitato dal Comune di Potenza beneficiando di una borsa di studio, nell’ambito della rete internazionale ICORN, e lavora occasionalmente come mediatore culturale”

Boreano è una campagna a pochi chilometri da Venosa.

Dicono sia stata chiamata in questo modo per via del vento che soffia incessante. Boreano è soprattutto zona di agricoltura: una grande distesa di terre arate. Non è adatta per viverci, non ci sono case e negozi, non c’è un bar né una fontana. La mano dell’uomo si vede nei casolari e capannoni in cui dormono aratri e grandi macchinari agricoli. Le “strade” dissestate che tagliano i campi servono soltanto a rompere le sospensioni delle automobili.

Eppure, da metà agosto Boreano si popola improvvisamente: diventa una città, con i suoi abitanti, le sue regole, addirittura un centro nevralgico, un’agorà chiamata “La Capitale”.

Ma ad abitarla sono i fantasmi del nuovo millennio, i senza volto e senza diritti, quelli la cui pelle color ebano fa paura a molti. Gente che ha attraversato il deserto prima e il mare magnum dopo, per arrivare in Italia e diventare schiava.

Qualcuno li chiama extracomunitari, termine che sta ad indicare chi vive al di là della nostra comunità ed a ricordarci che in Europa una mozzarella si sposta più facilmente di un uomo.

Altri li chiamano “migranti”, un termine che ricorda il difficile e necessario viaggio che fanno gli uccelli per spostarsi da una zona all’altra del globo.

Loro preferiscono chiamarsi per some: Zacaria, Adam, Mohamed, Moussa. Per non dimenticare di essere prima di tutto persone, esseri umani.

Loro sono i raccoglitori dell’oro rosso, il pomodoro. Vivono a Boreano da agosto a fine ottobre. Provengono dall’Africa subsahariana, dal Burkina Faso nella maggioranza dei casi, ma anche dal Ghana e dalla Costa d’Avorio. Molti hanno la residenza a Casal di Principe (sinistra coincidenza…) e lavorano nell’agricoltura, seguendo l’incedere delle stagioni, altri, più “fortunati”, sono i figli della crisi di produzione del Nord, operai costretti a finire nei campi perché le fabbriche nelle quali lavoravano hanno chiuso.

I nuovi schiavi attraversano il Mezzogiorno, come una transumanza di disperazione, per raccogliere i prodotti che la terra offre: il pomodoro e l’uva in Basilicata e in Puglia, gli agrumi in Calabria e in Sicilia, poi le fragole nel Campano, le angurie nel Salento e chissà.

Sono quasi tutti giovani, tra i venti e i trenta anni, alcuni sembrano molto più piccoli, quasi dei bambini. Altri sono bambini, in pellegrinaggio attraverso l’Italia meridionale assieme ai loro papà.

Sorridono spesso e in quei sorrisi è mappata la loro esistenza, denti rotti e logorati che raccontano delle tragedie che hanno dovuto affrontare, il viaggio che hanno fatto per venire fin qui, il deserto, la Libia e poi quel cimitero di dolore che è il Mediterraneo.

Negli occhi lucidi e nello sguardo che viaggia oltre il reale è chiaro che ci sono ferite che fanno parte dell’intimità più profonda e che bruciano troppo. A Boreano vivono in casolari fatiscenti, retaggio della riforma agraria degli anni ’50, abbandonati da anni dai proprietari. In ciascuno di questi, composto da due stanze, si riversano più di trenta persone, che convivono senza acqua né elettricità, senza servizi igienici. Le fonti di acqua potabile distano almeno 2 km da questi insediamenti. I casolari sono in tutto una quindicina e sono arrivati ad accogliere, nei periodi di massimo affollamento, fino a 6-700 persone.

Cucinano su lamiere trasformate in veri e propri forni sulle quali grigliano carni e verdure: fanno un fuoco a terra, poi piazzano le lamiere sopra due blocchi di cemento. Da allevatori del posto acquistano pecore e galline, dividono l’animale in pezzi e lo appendono fuori dalle abitazioni. Pur vivendo in condizioni igieniche disperate, prestano molta attenzione alla pulizia del corpo: essendo per lo più musulmani, praticano abluzioni 5 volte al giorno, prima di ogni preghiera.

La loro ritualità così nobile e vistosa rende nitido il contrasto tra la sacralità dell’atto e lo squallore del luogo in cui si compie.

Secondo i dati della Caritas, in Italia ci sono più di 5 milioni di immigrati, dei quali circa 500.000 sono irregolari. Un analisi della Coldiretti ha evidenziato che oggi la forza lavoro estera rappresenta quasi il 9,15% del totale impiegato in agricoltura: in altre parole, nei campi quasi un bracciante su dieci è straniero. E il 95% di loro è privo di alcun contratto di lavoro. Ogni anno, circa 3000 immigrati fanno tappa in Basilicata: piegati in due sui campi, lavorano dodici ore al giorno per 25 euro.


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