Più che celebrare la Pasqua, direi che quest'anno è opportuno dedicare un articolo al 25 aprile, che incidentalmente coincide con le festività religiose. Faccio dunque coincidere il mio angolo del sabato sulla Storia con un ragionamento sui due Ventenni dell'Italia, quello vecchio e quello contemporaneo. Sarà facile scoprire di come il presente può essere assai peggiore rispetto al passato, che a quei tempi sembrava un incubo.
Poi, ve lo prometto, non parlerò più di politica per qualche mese.
Da storico imparziale non amo la retorica né il tifo calcistico applicato alla politica. Eviterò quindi di rifilarvi i soliti predicozzi sull'importanza della Liberazione, del movimento partigiano e degli Alleati che sacrificarono migliaia di giovani per venire a liberarci dagli oppressori tedeschi.
Allo stesso tempo ammetto che in Italia manca ancora una storia condivisa, una seria discussione su cosa fu il Fascismo nelle sue due fasi (rivoluzionario e dittatoriale) e anche su cosa rappresentò la Repubblica di Salò, a cui aderirono moltissimi volontari che, va da sé, non potevano certo essere tutti degli assassini invasati.
Forse il nostro paese avrebbe meritato la sua Norimberga e una minuziosa e imparziale ricostruzione storica del cosiddetto Ventennio, cosa che invece nessuno (o quasi) si prodigò nel fare.
Basti pensare che fino al '43 gli italiani erano tutti fascisti, e dopo l'otto settembre di quell'anno era tutti antifascisti.
Del resto Mussolini stesso, a dispetto di tutti i discorsi pubblici sul nuovo impero e sulla gloria rinnovata della patria, in privato diceva che “Governare gli italiani non è difficile, è inutile.”
Da allora cos'è cambiato? Praticamente nulla. La nostra giovane e sperimentale democrazia ha vissuto qualche decennio di prosperità, più dovuta all'alleanza atlantica che non a meriti propri, salvo poi ritornare più o meno al punto di partenza.
Abbiamo un nuovo “uomo forte” al comando, solo che probabilmente non vale un dito mignolo di Mussolini. Lungi da me l'intento di tracciare un quadro glorificatore del Duce, ma occorre ammettere che, nel suo concetto antidemocratico e totalitario di Stato, era un leader che mirava in maniera paritetica al proprio prestigio e a quello del paese. Potremmo perdere ore nel discutere di quanto poi la megalomania del maestro di Predappio abbia portato l'Italia alla distruzione totale, annullando tutto il lavoro compiuto negli anni precedenti, in cui il piglio deciso di Mussolini veniva riconosciuto e incensato da mezzo mondo. Anche se questo è un aspetto che gli storici, specialmente quelli anglofoni, tendono a dimenticare nei loro saggi. Andatevi per esempio a vedere quanta stima riponeva Churchill nel Duce prima del '39, e vedrete che la storia ufficiale ha più sfumature di come ve la raccontano a scuola.
Al contrario l'Amato Leader ha un solo interesse: salvare i suoi interessi personali e quelli dei suoi parenti e collaboratori. L'Italia? Una sorta di azienda-paese in cui dei sindacalisti particolarmente combattivi (la magistratura) rompono le palle al padrone, il quale pensa invece che tutti dovrebbero baciargli i piedi perché è ricco. I concetti di Stato, di patria (cara alla destra) e di popolo (caro alla sinistra) sono sempre più parole svuotate di significato. La politica è lontana dall'uomo comune (al contrario di quel che accadeva nel Fascismo e nel Comunismo), riservata a una casta di privilegiati senza arte né parte.
A ogni modo, dicevamo: siamo passati dall'ex maestro di scuola diventato Duce degli italiani, all'ex stornellatore diventato Amato Leader di un paese popolato da amebe. Perfino paragonato a un dittatore tra i più odiati del '900, il Cavaliere fa una figura barbina. Dalle mie parti si direbbe “da cioccolataio”.
Mussolini ebbe quantomeno la capacità di comprendere che certi lacché, come il folkloristico Achille Starace, stavano trasformando il fascismo in burletta. Appreso ciò, li cacciò. Al contrario l'Amato Leader ha utilizzato vent'anni di politica attiva per allontanare i collaboratori più validi, tenendosi a fianco nani, ballerine e personaggi dal profilo più che mediocre.
C'è da dire che il fascismo, a differenza del berlusconismo, fu caratterizzato da un plebiscito quasi totale, che culminò senz'altro con la proclamazione dell'Impero. Rapportata con la società globale di allora, l'Italia appariva come un paese in progresso, in lenta trasformazione da un'economia agricola a una industriale. Il consenso popolare, quello “di pancia”, era quindi a suo modo giustificato da un apparente benessere, che poi Mussolini sacrificò sull'altare della guerra.
Il lavoro di fantasia di alcuni scrittori ucronici – non ultimo Enrico Brizzi – fa risaltare la possibilità che un'eventuale neutralità italiana in guerra avrebbe comportato la sopravvivenza del fascismo almeno fino agli anni '60. Un po' come avvenne in Spagna per Francisco Franco e il falangismo. Pare più che una possibilità remota. La prova ce l'abbiamo sotto gli occhi: l'Amato Leader rischia di vincere le elezioni da qui alla sua morte, questo senza aver mai realizzato l'1% del programma “liberale” sbandierato nel 1994. A suo confronto non appare blasfemo affermare che l'Italia Fascista fu cento volte più dinamica e in crescita rispetto a quella odierna.
Per contro oggi viviamo – così dicono – in una democrazia reale. Non a caso l'Amato Leader riceve bordate da ogni lato e, grazie al cielo, la possibilità di criticare aspramente il suo operato è garantita a tutti. Ciò nonostante nessuno sembra in grado di proporre una valida alternativa, né i tanti movimenti di protesta riescono a far leva sull'elettorato medio, quello che apprezza il Cavaliere in quanto espressione dell'uomo arricchito, simpatico, pieno di donne e con un machistico disinteresse per la cultura.
Quindi, senza tirarla troppo per le lunghe, circa sessantacinque anni dopo quel 25 aprile abbiamo pochi partigiani validi, un dittatore senza alcuno spessore storico-sociale, sostenuto da fanatici che non sognano più di morire per non tradire un'alleanza (per sbagliata che fosse), bensì di bombarsi Raffaella Fico, di partecipare a un reality e di vedere Cristiano Ronaldo in maglia rossonera.
Buona Festa della Liberazione.