Venti chilometri di passione - Capitolo 7

Creato il 09 giugno 2014 da Lorenzo Zuppini @lorenzozuppini
Quell’estate, oltre alle solite attività tipiche del posto e di quella stagione, io e Giulia finimmo di organizzare il nostro primo viaggio insieme.
Avevamo programmato di farlo durare dodici giorni.
Saremmo partiti dal mare, saremmo andati a Bologna e da Bologna fino a Trieste. Quest’ultima città era appunto la prima tappa della nostra avventura. Ci saremmo poi spostati nel parco naturale croato di Plitvice, da lì poi a Praga ed in fine a Vienna.
Ricordo che passammo alcune sere a rivedere tutto il programma nel tentativo di scovare anche il minimo errore, così da avere il tempo per porvi rimedio.
Giulia nel frattempo finì la sua opera di convincimento nei miei confronti, così da rendermi del tutto entusiasta al pensiero di intraprendere un viaggio da solo con lei. Un viaggio che, per la sua tipologia, si affianca bene all’esclamazione “all'arrembaggio”, non so se mi spiego.
La mamma di Giulia ci fissò gli alberghi od ostelli che avevamo scelto per il pernottamento, perché l’intero programma, comprensivo di orari dei treni nei paesi stranieri e di tutti gli altri spostamenti, lo ideammo io e Giulia insieme senza l’ausilio di alcuna agenzia di viaggi. Anche a questo giro io ero un po’ titubante, ma poi Giulia finì per convincermi che anche questo passaggio faceva parte dell’avventura.
Mi investì col suo entusiasmo, e Dio solo sa quanto gliene sono grato.
Saremmo partiti il diciannove di Agosto, esattamente quattro giorni dopo ferragosto che festeggiammo al Twiga. Fu una serata piacevole e piena di festa.
Discussi con Giulia durante i festeggiamenti ma risolvemmo nel giro di mezz’ora.
Bevemmo tanto champagne e infatti questo è l’unico passaggio della serata che ricordo mal volentieri: dopo quattro bicchieri di champagne a me viene solo da andare in bagno, nient’altro, e per quanto lo fanno pagare in quel locale vale più la pena acquistare direttamente dei superalcolici.
Venne il babbo di Giulia a prenderla, Umberto. Uomo alto, magro, semi calvo, di poche parole ma un gran tipo.
Si presentò alle cinque del mattino con la Chrysler della moglie decappottata. È anche per uscite di questo genere che io lo definisco “un bel tipo”.
Due sere dopo io e Giulia ci accorgemmo di un tragico errore nella programmazione del viaggio. In pratica avevamo anticipato erroneamente il tutto di un giorno. Una tragedia per me, un dramma. Finì che riuscimmo a risolvere senza molti problemi e, se non ricordo male, con l’aiuto della mamma di Giulia che a quel punto non potevamo proprio rifiutare.
Il giorno dopo ero sulla spiaggia, sotto la tenda numero due con mia sorella Francesca. Mi chiamò mio padre dal Molise, dove aveva passato il ferragosto con il resto della famiglia, intimandomi di rientrare a Pistoia data la vicinanza della mia partenza per l’Interrail. Brontolai, mi incazzai ma alla fine cedetti. Uscii di corsa dalla spiaggia, andai a casa a fare la valigia e mi scapicollai a Pietrasanta da Giulia per dirle che sarei tornato a casa di lì a poco.
Non era affatto una tragedia dato che ci saremmo visti due giorni dopo per la partenza, fatto sta però che io ero angosciato da morire. Ve l’ho già detto, per me lasciare la Versilia è sempre un trauma, anche se so di andare a divertirmi altrove.
Salutai Giulia sotto casa sua, sul bordo del piccolo parcheggio visibile dalla finestra della sua cucina. Era rientrata da poco dalla spiaggia e infatti indossava un vestito da mare. Ricordo la sua pelle particolarmente scura e morbida.
Ci baciammo e io tornai velocemente alle Focette per prendere mia sorella Francesca e partire alla volta della caldissima Pistoia.
In quaranta minuti arrivammo a Pistoia. Era una fornace a pieno regime. Non si respirava dall’afa e dall’umidità, e considerate che io d’estate dormo a finestra sprangata per timore che entrino i ladri.
Mio padre mi fa rabbia quando mi prende in giro per questo fatto dicendomi “ma dai, è casa tua, una volta che ti sei chiuso dentro non può entrare nessuno”. Accidenti, me lo sogno io o capita sempre più spesso che delle persone si ritrovino dei ladri in casa nel bel mezzo della notte?! Ecco, io preferisco il caldo al correre un rischio del genere.
Casa mia ha un odore strano ogni volta che ci rientriamo dopo le vacanze. Prima di partire per delle vacanze mia madre la mette a posto e la fa ripulire, così da ritrovarla decente al nostro ritorno.
Per me il momento in cui si deve disfare le valigie ed inondare la casa di panni sporchi, souvenirs e scarpe e ciabatte, è devastante. Odio il disordine, anche quello mentale, quindi ritrovare la casa pulita e in ordine, ma rovinare quella pace in qualche minuto mi destabilizza fortemente. Finisco sempre per chiudermi in camera mia, così da ammirare l’ordine da me creato nel mio habitat.
La sera, appena arrivati a casa, io e Francesca disfacemmo le valigie e cenammo.
Dopo cena chiamai Giulia al cellulare. Avevo gli occhi lucidi e mi mancava. Non riuscivo a pensare che l’avrei rivista quarantott’ore più tardi, sapevo solo concentrarmi sul fatto che l’estate al mare era volta al termine e che quel periodo magico non lo avrei rivissuto per un anno intero. Piansi al telefono.
Credo che il pianto non sia affatto una prerogativa delle donne ma anzi, molti uomini ricacciano le lacrime dentro di sé per paura di apparire non si sa bene come, forse fragili, o sensibili, come se fossero dei difetti.
Mio padre è uno che non piange mai, che non si dispera. Si incazza e sa fare paura. Ecco, questa credo sia una prerogativa dell’uomo-padre, ovvero di saper incutere timore nella prole. Quindi insomma, l’altro uomo che è nella mia famiglia non si scioglie mai, e credo che non lo faccia apposta, piuttosto credo sia proprio fatto in questo modo. Io sono una via di mezzo, e alle volte mi piacerebbe assomigliare di più a lui. Collego il saper contenere i propri sentimenti con la fermezza che un uomo deve obbligatoriamente avere nella vita, ma forse sbaglio. Probabilmente la fermezza d’animo si esprime anche non facendosi intimorire da ciò che si nasconde all’interno del nostro cuore, dandogli quindi lo spazio giusto, senza farsi prendere troppo la mano ma neanche comportandosi come dei dannati robot di metallo.

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