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E' difficile scrivere questo post. E, sicuramente, non è necessario. Almeno non per i miei lettori che, in questo spazio, hanno forse trovato un po' di svago e frivolezza.Ma le ultime ore sono state concitate e ansiose. O, almeno per me, particolarmente febbrili.Siamo in guerra. Riuscite a crederlo? Una guerra diversa da quelle che, finora, ci hanno coinvolto anche di più in termini di uomini e mezzi messi in campo. Perché la Libia non si è rivelata poi tanto lontana. Anzi, ora che ci sentiamo il fiato sul collo, sembra quasi una regione italiana dimenticata, di quelle che Bossi non prende mai in considerazione con la sua ridicola pretesa di identità padana. Sbraitando non già per pericoli, minacce di bombardamenti, eventuali ampliamenti di conflitti nel Mediterraneo... ma per la paura dell'invasione di extracomunitari. Ma quanto è anacronistico quest'uomo? Sapevo già che campava fuori dalla realtà, visto che ha affidato a un personaggio di fantasia (Alberto da Giussano, invenzione letteraria di un monaco, se non erro) l'identità di un popolo che ha avuto 5 minuti di gloria e di storia "a parte". Troppo pochi rispetto, ad esempio, agli 800 (sì, ottocento e passa) anni di storia beneventana che, quella sì, non ha mai avuto a che fare col resto d'Italia. Nemmeno con quello stato pontificio di cui faceva parte e dal quale non si faceva poi governare.Scusate la digressione. Ma i venti di guerra alzano sempre la polvere della storia. Perché è sempre nel passato che si cercano le cause del presente.Forse perchè il presente è sempre più paludoso e farraginoso. Con tutti quegli interessi che si mischiano e ci tolgono chiarezza.Spingendoci a prendere posizioni estreme. Contro la natura umana che imporrebbe una relatività delle cose, una dietrologia, un significato recondito da scoprire... o una motivazione da comprendere.Così oggi ci si interroga sulla guerra. Favorevoli o contrari? Come a dire tifi per la Lazio o per la Roma? E chi può mai essere davvero favorevole alla guerra (a parte i produttori di armi e loro derivati)?E chi, invece, può essere contrario ad aiutare quei ribelli che, da internet, da questo spazio libero e incontrollabile, hanno avuto il coraggio di ribellarsi a un regime? Venendo poi abbandonati dall'Europa e dalla comunità internazionale?Lo chiedo a voi, perché io non lo so. E sento di avere una crisi di coscienza rispetto alla mia natura pacifista. Che si scontra con quella che sostiene l'autodeterminazione dei popoli, la libertà di espressione, l'abiura di qualsiasi regime. Questa guerra ha di diverso, rispetto alle altre, l'origine stessa. Non si tratta di "esportare" democrazia. Cosa che, invero, si rivelò fallimentare persino per quel buontempone di Napoleone. Stavolta la richiesta di cambiamento è partita dall'interno. Dal popolo stesso. Un popolo, a quanto pare, fatto prevalentemente di giovani che, come me, usano internet, se è vero che la rivoluzione è passata prima per blog e social network. Chi ha ragione? Chi ha torto? E a quale parte di coscienza civile, ideale o ragione dovrei dare retta?Articolo originale di Federica Rossi per Poco sex e niente city.
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