In tutto il mondo ci sarebbero ventitré centrali nucleari – 79 reattori in tutto – a rischio tsunami. Roba da far impallidire Fukushima. Lo sostengono gli scienziati Joaquin Rodriguez-Vidal[1], Jose M. Rodriguez-Llanes e Debarati Guha Sapir[2] nello studio pubblicato dalla rivista scientifica internazionale Natural Hazards. Una delle aree ad alto rischio comprende il reattore Fukushima I. Tra gli impianti censiti dai ricercatori ci sono tredici centrali con ventinove reattori attivi. Ci sono poi quattro centrali – con venti reattori attivi – che sono state ampliate per accogliere altri nove reattori. Infine sono in costruzione sette centrali con sedici reattori.
In rosso le aree costiere a rischio tsunami
E la prima volta che una ricerca scientifica mette in relazione l’ubicazione delle centrali con le aree a rischio tsunami. “Noi ci stiamo occupando della prima veduta della distribuzione globale delle centrali nucleari civili situate sulla costa ed esposte agli tsunami”, dice José Manuel Rodríguez-Llanes. I ricercatori hanno basato l’analisi del rischio tsunami su documenti e archivi storici, archeologici, geologici e strumentali.
Secondo Debarati Guha-Sapir, “le conseguenze dei disastri naturali si stanno aggravando a causa della crescente interazione con le installazioni tecnologiche”.
La Cina, una delle economie mondiali che sta crescendo più velocemente, è anche il luogo in cui si sta costruendo il più alto numero di reattori nucleari: circa ventisette dei sessantaquattro in via di completamento in tutto il mondo. “Il fatto più importante è che diciannove (due dei quali a Taiwan) dei ventisette reattori sono in costruzione in aree identificate come pericolose,” affermano gli autori dello studio.
L’impianto nucleare di Fukushima Daiichi fotografato dal satellite tre giorni dopo il disastro
Nel frattempo in Giappone ci sono sette centrali con diciannove reattori a rischio, e uno di questi è attualmente in fase di costruzione. La Corea del Sud sta espandendo due centrali a rischio con cinque reattori. Anche le centrali in India (due reattori) e Pakistan (un reattore) potrebbero subire le conseguenze di uno tsunami.
“La posizione delle installazioni nucleari non ha implicazioni solo per i paesi che le ospitano ma anche per le aree che potrebbero essere interessate dalle fughe radioattive,” ha sottolineato Joaquín Rodríguez-Vidal.
Gli scienziati sostengono che l’incidente di Fukushima dovrebbe essere una lezione per tutti. La prevenzione e gli studi scientifici precedenti sono i migliori strumenti per evitare tali disastri. “Ma dallo tsunami del 2004, la regione dell’oceano Indiano non ha ancora adottato misure politiche efficaci”, dicono i tre ricercatori.
Sembra un secolo fa, perché non ne parla più nessuno, ma è successo soltanto ieri: l’11 marzo 2011. Lo tsunami arrivò dopo un terremoto al largo della costa orientale del Giappone, che raggiunse il grado 9,0 sulla scala Richter. Il più forte sisma che abbia mai colpito il Giappone. Lo tsunami spazzò via città, industrie e terreni agricoli nella parte settentrionale del paese, uccidendo ventimila persone. Lo tsunami provocò anche il disastro nucleare di Fukushima Daiichi, il più grave dopo quello di Chernobyl nel 1986.
Fonti: Centre for Research on the Epidemiology of Disasters, Cordis News, Natural Hazard, Discovery News.
[1] Dipartimento di Geodinamica e Paleontologia, Università di Huelva, Spagna.
[2] Centro di ricerca sull’epidemiologia dei disastri, Institute of Health and Society, Université catholique de Louvain, Belgio.