Sono venuta al mondo in un primo pomeriggio di metà ottobre di quasi un trentennio fa.
Era l'anno dello scandalo P2, che in Italia aveva visto coinvolte tante personalità di riguardo.
L'anno in cui si votava per il referendum sull'aborto.
L'anno che aveva visto convolare a nozze Carlo d'Inghilterra e Lady Diana Spencer.
L'anno dell'arresto di Mario Moretti, esponente più in vista delle BR, esecutore dell'omicidio Moro.
L'anno in cui l'IBM lancia sul mercato il primo PC.
L'anno dell'esordio musicale dei Metallica.
L'anno in cui era morto a Roma Rino Gaetano, investito da un'auto.
L'anno in cui, a Miami, era morto anche Robert Nesta Marley, in arte Bob, ucciso da un melanoma maligno all'alluce destro.
E quell'anno, in estate, la televisione italiana aveva trasmesso, a reti unificate, la lenta agonia di un bambino di sei anni che era caduto dentro un pozzo e non si era riusciti a tirare fuori.
Era l'anno dell'attentato a Carol Woitila, papa Giovani Paolo II, in Piazza San Pietro.
In Francia veniva abolita la pena di morte.
E fu in questo anno già gravido di eventi, più o meno luttuosi,che si inserisce anche la mia storia.
Quel giorno, una settimana dopo l'assassinio di Sadat, il capo maresciallo delle flotta aerea egiziana, Hosni Mubarak diventava presidente dell'Egitto, e lo sarebbe rimasto fino al febbraio del 2011.
Quel giorno era mercoledi.
Quel giorno una donna alla sua terza gravidanza, nel suo appartamento all'ottavo piano della periferia romana, iniziava a sentire ben noti crampi al basso ventre.
Ma è a questo punto che i dati certi a nostra disposizione iniziano a mancare, che Wikipedia non sopperisce più alle faglie della memoria e della conoscenza, che il confine tra realtà storica e leggenda inizia a farsi sottile e labile. E' a questo punto che devo iniziare ad affidarmi ai ricordi di resoconti, e di racconti uditi e ripetuti tante di quelle volte, da divenir racconti di ricordi di racconti fatti precedentemente. Sempre un pochino più mitologici del reale, ma fin dove, è impossibile dirlo. Per me, che raccolgo la testimonianza da destinataria, quanto per la narratrice stessa, che rivive con sguardo di volta in volta diverso quegli istanti un tempo vissuti, ora ricordati.
E dunque non saprei dire, quel giorno, che tempo facesse, per esempio, ma posso provare a immaginarlo, perchè conosco gli autunni romani, nei primi mesi del loro ingresso, variopinti di colori caldi e fruscianti di un tappeto di foglie secche sui marciapiedi, e i loro cieli tersi, di un azzurro impeccabile, intenso come solo in quei mesi dell'anno riesce ad essere, vergato di tanto in tanto di pennacchi di nuvole, che tanti artisti barocchi hanno ispirato, sulle pareti delle sue chiese storiche.
E quindi quel giorno io me lo immagino così: caldo e luminoso, di quella luce dorata di un sole declinante verso sud, che ha già iniziato la sua parabola discendente cedendo le sue ore diurne alla notte, crepitante di passi sui selciati tappezzati di fogliame colorato, appena malinconico per qull'addio momentaneo al tepore e alla luce che sappiamo di godere ancora per poco, per gli ultimi, privilegiati giorni.
E da qui inizia la leggenda.
Narra la mia fonte, che quel giorno iniziò dunque ad avvertire a intermittenze regolari, questi sospetti dolori che lei da esperta qual'era, credo avesse dovuto riconoscere subito.
Da esperta qual'era però, ben sapeva che la questione sarebbe stata lunga e snervante, se avesse cominciato sin da subito a dare in escandescenze, e quindi, da esperta qual'era, trovò il modo di sedare temporaneamente i dolorosi preamboli di quell'incipiente travaglio con ripetute docce fredde (o erano calde? Dovrei tornare a consultare la mia fonte, ma la cosa al momento ha scarsa importanza).
Narra ancora la mia fonte, che quando si rese conto che la situazione stava rapidamente precipitando verso un parto accelerato, entrò in uno stato di concreta agitazione, poichè trovavasi al momento sola in casa, e facendosi impellente la necessità di raggiungere il più vicino ospedale, non aveva chi potesse accompagnarvela in auto, poichè il di lei marito risultava al momento irreperibile.
Ricordo, tanto per definire l'ambientazione storica, che i cellulari all'epoca erano ancora ben lungi dall'essere immessi sul mercato, e se già ne circolasse qualche prototipo, questo lo ignoro.
Fatto sta che la mia fonte dichiara di aver provato una grande angoscia, e racconta di come avesse chiesto aiuto alla signora che allora prestava servizio domestico presso l'abitazione dei suoceri, che abitavano sul pianerottolo, nell'appartamento di fronte del medesimo condominio all'ottavo piano di quella periferia romana.
Tal signora la carica in macchina e insieme si dirigono verso l'ospedale.
E qui per figurarvi la scena non dovete far altro che attingere alle numerosissime riproduzioni televisive, cinematografiche e pubblicitarie, che nel corso di decenni hanno arricchito la cultura collettiva di un campionario nutritissimo di casi di parto precipitoso, corredati da corsa all'ultimo minuto all'ospedale, con tanto di donna partoriente sdraiata nel sedile posteriore, urla strazianti e slaloom giganti in mezzo al traffico comatoso della capitale, tra comici e grotteschi inconvenienti e contrattempi di ogni tipo.
Perchè pare che proprio così sia andata anche quella volta.
A detta della mia fonte, quel viaggio per arrivare in ospedale fu una corsa matta e disperatissima contro il tempo e le doglie, in un'auto alla cui guida era una persona che, oltre a possedere scarsissimi rudimenti in tema di conduzione di veicoli a motore, poco ne sapeva anche di logistica stradale, e assai male conosceva anche la sistemazione urbanistica delle città e la dinamica dei suoi percorsi viari.
E quindi la mia fonte racconta di come viaggasse col cuore in gola su quel sedile posteriore (o era anteriore?), convinta che proprio lì lei avrebbe infine partorito, per quanto si sforzasse di concentrare la totalità delle proprie energie fisiche e psichiche nel tentativo di frenare o quanto meno rallentare quell'evento.
Racconta poi, la mia fonte, di come alla fine fossero arrivate all'ospedale sul filo del rasoio, di come l'avessero caricata sel lettino e scarrozzata di corsa per i corridoi e dentro gli ascensori, tanto che, in questo scarrozzamento folle, si perse persino la borsa del corredino della bimba che stava per venire al mondo, di come poi questa meravigliosa venuta al mondo si fosse consumata sulla soglia della sala parto, anzi no, che sto dicendo, nel corridoio del reparto maternità, anzi, no: nell'ascensore stesso che conduceva al piano.
E di come poi la neonata sia stata piazzata per un tempo non precisato sotto una lampada riscaldante, poichè, come detto prima, non si trovavano più i vestitini da infilarle, smarriti durante lo scarrozzamento folle della madre partoriente per i corridoi della struttura ospedaliera.
Per questo motivo, così credevo da piccola quando mi veniva raccontata per l'ennesima volta questa storia, poichè cioè ero rimasta nuda così a lungo, avevo avuto i miei primi brividi di freddo, di cui conservavo traccia in quella strana zona di pelle ruvida e granulosa che ho sempre avuto sul braccio destro, all'altezza del gomito, che sembra proprio come se avessi la pelle d'oca solo in quel punto, e che mio padre chiamava, con ironico motteggio, "pelle da rinoceronte", definizione che io accettavo e ripetevo con guerrigliero orgoglio.
I bambini si danno strane e fantasiose spiegazioni a fenomeni non altrimenti spiegabili, e se le fanno bastare.
I bambini hanno bisogno di attribuire origini leggendarie ai fenomeni che li circondano, compresa la loro stessa esistenza.
Il racconto della mia venuta al mondo, così come quella bizzarra pelle da rinoceronte che ho tuttora sul braccio, mi inorgoglivano smisuratamente.
Gli adulti dal canto loro finiscono per dare un peso eccessivo ad eventi che si verificano in fin dei conti per null'altro se non il caso, e spesso la nostra interpretazione di esso contribuisce non poco a imprimere una forma definita anche a ciò che viene dopo.
Solo molti anni dopo, trovandomi a mia volta dalla parte di colei che dà alla luce, e non di colei che viene alla luce, ho riconsiderato quel racconto dal punto di vista di chi tante volte me lo aveva narrato, e non dal punto di vista di una bambina che, a detta degli adulti, "non vedeva l'ora di uscire fuori" oppure "aveva proprio deciso che era ora di vedere il mondo", o che infine "non aveva più voglia di aspettare ancora".
Ne vien fuori l'immagine di un neonato predestinato al tagliar corto, al "lasciate fare a me", all' "ora basta, facciamola finita", o al "non ho bisogno di aiuto, io: faccio da sola, grazie" che è quanto meno un'azzardo della pseudo-scienza del dimmi-come-sei-nato-e-ti-dirò-chi-sei, che va fortissimo ultimamente.
Del resto è stata un'etichetta che mi sono in parte dovuta accollare nel mio crescere, quella della figlia indipendente e autonoma, che vuole fare da sola, e che ha condizionato non poco anche alcune scelte della mia vita, spingendomi spesso a cacciarmi in situazioni per le quali forse non ero proprio all'altezza.
O magari c'era davvero un poco di verità in quel mio voler venire alla luce a tutti i costi quando lo dico io e solo quando lo decido io.
Ci sarà pure un motivo, dico io, se i Greci raccontavano che Minerva, dea della saggezza e della giustizia, fosse stata partorita dalla testa di Zeus, signore dell'Olimpo.
E forse non tutti sanno che la poetica nascita di Venere, dea dell'erotismo e dell'amore, dalla schiuma del mare, fosse stata in realtà dovuta al fatto che, tra quei flutti, il nostro Zeus avesse gettato i testicoli amputati del suo crudele padre Crono, divoratore dei propri figli.
Fatto sta che in ogni nascita credo ci sia quel tanto che basta di leggendario. E' nello stabilire in quanta parte questo leggendario sia presente, che sta il difficile.
Come l'arrivo tardivo del padre irreperibile all'ospedale, che pare abbia pronunciato, nel suo presentarsi a cose fatte, una frase del genere: "Allora, quanto manca al parto?"; o forse: "Sono già iniziate le contrazioni?", quando la sua adorabile figlioletta già si sollazzava nella culletta accanto agli altri bebé della nursery.
Ecco, come questa.
E mi viene inevitabilmente da pensare a come racconterò a mia figlia la sua venuta al mondo, e cosa lei ne penserà, e come questo racconto potrà condizionare l'immagine che lei stessa avrà di sé nel tempo a venire.
E anche se mi dico, con un pizzico di delusione e rammarico, che quella venuta al mondo in realtà ha avuto ben poco di leggendario e iperbolico, sono sicura del fatto che solo il tempo saprà tirar fuori dalle nebbie della mia memoria quanto di incredibile e mitologico si racchiudeva in realtà anche nella nascita di mia figlia, a pensarci bene.
Perchè in fondo ogni nascita ha del miracoloso.
Co questo post rispondo all'invito di Mamma è in pausa caffé, qui.
Se anche voi volete arricchire il repertorio mitografico con la vostra leggenda, prego: fate pure.
Non potrà che essere interessante. E istruttivo!