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VERA VASQUES legge “Memorie”

Creato il 31 agosto 2011 da Patrizia Poli @tartina

 

“Un’epopea di gesti quotidiani, di volti familiari che ci riconsegna il tempo, quella evocata da Patrizia Poli: il registro chiaro e colloquiale di un lavoro onesto che si impegna in una costruzione minimale del verso,  una versificazione dai toni domestici ma mai dimessi, un dettato lirico fatto di eleganza sussurrata e di corrusca tenerezza, quasi a suggerirci che la poesia più intima e felice è quella che si coglie nel miagolìo dei gatti su in soffitta o nel sorriso ingenuo e strafottente di un marito che non ha voglia di lavorare ma è una pasta d’uomo.

L’esigenza di rappresentare tessere apparentemente insignificanti di un divenire ordinario e mai privo di grazia, sembra essere la cifra prevalente della sua poesia, sebbene non ci sfugga che, nell’ordito placido e sereno di questo componimento così sincero e narrativo, fa capolino, in maniera seppur solo accennata, con ritrosia dissimulata ad arte, qualche tratto malinconico e nostalgico che, d’altronde, si coglie già nell’immagine iniziale, poetica e frugale ad un tempo, dell’aringa affumicata e messa sotto sale, la memoria, che mentre si disfa e si consuma, si fa più appetitosa e saporita.

Proprio il contrasto tra la delicatezza del ritratto o del ricordo e il rassegnato recupero di affilate schegge di rimpianto, rappresenta la nota più evidente di questa prova interessante, soprattutto in quanto il suddetto contrasto si consuma lungi da qualsivoglia idealizzazione dell’altrieri, in una dimensione in cui, piuttosto che il malessere, scorgiamo un afflato tenero e sincero verso la personale matrice identitaria, verso una terreno gravido di voci e sentimenti.” (Vera Vasques)

 

Un salacchino per pranzo

mentre fai gramigna

ISOLA

a casa ti aspetta

 il bastone di tuo padre

la promessa di lasciarti

 senza un soldo

e dar tutto ai tuoi fratelli.

Meglio seguire

le signorine

a servizio giù in città

 col vento di libeccio

e i gabbiani.

Bello

 le ghette e i baffi

t’innamora e ti sposa

tuo marito

ti porta con sé

al numero uno

portiera di ebrei

ricchi corallai.

Alle dame sorride

non ha voglia di lavorare

ma è una pasta d’uomo

e i tuoi tre figli devi crescerli da sola.

Ti afferra la caviglia

quando la passione

esplode

ma tu dici no

e i gatti miagolano in soffitta.

IDA

bella e altera

il passo lungo e fiero

le mani di fata alacre

cuci i tuoi merletti

ragazza di Rosachiara

quando arrivano le signore

posa il lavoro

 e corri a spogliarti

le spalle nude negli stanzoni ghiacci

la povera biancheria dimessa

le dita bucate dall’ago

sei più bella di loro

più bella di tutte

in quegli abiti che

non saranno mai tuoi

ma indossi come una regina.

Ti vogliono i figli dei notai

degli avvocati

al gran ballo per l’inizio del novecento

e nasce l’amore segreto

proibito

di cui non ci parlavi

e che ancora ti faceva

luccicare di pianto gli occhi

nascosto

negato

diviso dalle convenzioni

perché ognuno deve stare al suo posto

e i gatti miagolano sulle scale.

ADA

morettina svelta

figlia minore

madre di mia madre

onda di capelli sulle ventitré

occhi di carbone

caratterino aspro

così simile al mio

moglie di camerata

madre di piccola italiana.

Sotto le bombe

sul carro

col gatto in collo

risoluta e forte

tu scricciolo

dalla pelle bianca

e dal profilo delicato

energica e battagliera

 a tener testa a quel tuo marito

con gli occhi di mio fratello.

Mi hai insegnato

 la misura

molto più di LEI

mi hai cresciuto

 amandomi

forse più di quanto

 tu abbia amato LEI

e i gatti dormono

sul mio divano.

 

Patrizia Poli


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