Calamità, sost. f.
Per definire questa parola vorrei partire dai Promessi sposi, sperando di non spaventare troppo i miei venticinque lettori.
Come certo ricorderete, Alessandro Manzoni parla a lungo di calamità: dedica interi capitoli alla carestia e alla peste, a costo di far perdere slancio alla trama del suo romanzo e quasi dimenticando i suoi personaggi.
Prendiamo la peste, l’elemento chiave e risolutivo del finale. A un certo livello della narrazione la peste è certamente una calamità: qualcuno muore e qualcuno sopravvive. La provvidenza, la giustizia divina o la necessità di chiudere il romanzo – fate un po’ voi – fa sì che Renzo e Lucia sopravvivano e che don Rodrigo ne muoia. A livello individuale opera l’imponderabilita del caso.
Ma se abbiamo la voglia e la capacità di alzare lo sguardo – e quel vecchio giacobino di Manzoni lo fa tutte le volte che può – allora le cose cambiano; e di parecchio. La peste non è una calamità, ma il prodotto di una serie di cause tutte umane: la discesa dei lanzichenecchi, l’incapacità delle autorità pubbliche, l’incompetenza dei medici e così via.
Lo stesso discorso vale per la carestia: certamente hanno pesato le cattive condizioni metereologiche e la scarsità di piogge, ma le cause di quella tragedia non sono affatto naturali, ma anche in questo caso umane: ancora una volta la guerra innanzitutto, poi il cattivo governo, infine le avidità pubbliche e private. Manzoni ha già scritto tutto, basta solo aver gli occhi per leggere.
Per venire alla cronaca di queste ore, è una calamità il ciclone che ha colpito la Sardegna? No, non lo è.
Purtroppo ha colpito quella regione del nostro paese e non un’altra; purtroppo ha colpito più duramente alcuni territori di quell’isola piuttosto che altri; purtroppo ha ucciso alcune persone e non altre. Questa è la tragica fatalità di questo avvenimento, l’imponderabile di questa, come di qualunque altra, calamità naturale, dalle Filippine ad Haiti. Poi bisogna capire quali sono le cause di queste calamità e le ragioni per cui lo scatenarsi della natura provoca in alcuni luoghi danni così impressionanti.
Le ragioni sono sempre quelle raccontate da don Lisander, più o meno aggiornate a seconda dei tempi: la sicumera dei cosiddetti esperti che invece dimostrano di capirne assai poco, l’incapacità e la corruzione delle classi dirigenti, l’avidità e la rapacità di chi accumula le proprie ricchezze senza tener in alcun conto quello che gli sta intorno.
Le calamità siamo noi.