Senato, sost. m.
L’etimologia di questa parola è davvero evidente, quali lapalissiana: senatus deriva da senex, che significa vecchio, in quanto nell’antica Roma questo era il consiglio degli anziani, un organo che ha resistito al passaggio, traumatico, dalla monarchia alla repubblica e a quello, graduale e non violento, dalla repubblica all’impero.
Un organo di questo genere c’era anche in molte altre città antiche. Ad esempio in età omerica il consiglio che affiancava il re si chiamava gerusia; come è evidente, si tratta della stessa radice della parola italiana geriatria e quindi anche la gerusia era il consiglio degli anziani. Questo nome è rimasto, in epoca storica, a indicare gli organi assembleari, con un ruolo consultivo piuttosto importante e significativo, a Sparta e a Cartagine.
Come noto la storia la scrivono i vincitori e allo stesso modo sono i vincitori che determinano quali parole sopravvivono e quali invece sono destinate a scomparire. Cartagine è stata sconfitta, i Romani hanno gettato il sale sulle sue rovine, e quindi la parola senato ha continuato ad essere usata fino ai giorni nostri, mentre gerusia è un reperto di archeologia etimologica.
In sostanza per gli antichi vecchiaia era sinonimo di saggezza e quindi al giovane condottiero, che doveva avere l’energia e la forza per guidare le truppe in battaglia, era necessario affiancare un gruppo di uomini saggi, di consiglieri che avessero esperienza delle cose del mondo, anche per insegnargli la temperanza.
Credo ricorderete il film Lawrence d’Arabia. In una delle ultime scene Lawrence, che ha ormai capito che il suo governo non intende rispettare i patti che egli aveva preso con gli arabi e anzi che Gran Bretagna e Francia si sono spartite quelle terre, irrompe nell’ufficio di Allenby e si sorprende di trovarci il principe Faysal che
Non c’e altro da fare, qui, per un guerriero. Ormai si tratta di amministrare: lavoro da vecchi. I giovani combattono, e per questo le virtù della guerra sono virtù di giovani: il coraggio e la fiducia nel futuro. Poi vengono i vecchi e fanno la pace, e i vizi della pace sono i vizi di tutti i vecchi: la sfiducia e il sospetto.
Sfiducia e sospetto erano i vizi anche del senato della Roma repubblicana, che divenne ben presto qualcosa di più di un semplice consiglio degli anziani; nel complesso sistema istituzionale romano questo consiglio assunse via via funzioni proprie e definite e soprattutto finì per rappresentare gli interessi delle grandi famiglie, aristocratiche prima e borghesi poi, che avevano il controllo economico della città. Con l’impero il senato perse molte delle sue prerogative, anche se assumeva un ruolo, non sempre codificato, nel momento di passaggio da un imperatore all’altro.
Comunque sia diventare un senatore era un onore ambito a Roma, perfino di più di quanto lo sia oggi. I senatori antichi godevano di maggior potere e indiscutibilmente di maggior prestigio rispetto a quelli attuali, che però godono certo di maggiori benefit.
Per tornare alla definizione della nostra parola, nel diritto pubblico moderno, nei parlamenti bicamerali a regime monarchico il senato è la cosiddetta camera “alta”, destinata ad accogliere, per diritto ereditario, i capi delle famiglie patrizie e, per nomina sovrana, i membri dell’alto clero e cittadini di particolari meriti sociali. Nei regimi repubblicani bicamerali il senato si differenzia in genere dall’altra assemblea per le diverse procedure che regolano l’elezione dei suoi membri e per un particolare prestigio simbolico. Spesso negli stati federali il senato è l’assemblea in cui i diversi stati sono rappresentati con lo stesso peso e quindi rappresenta l’unità della nazione.
Come noto in Italia la Costituzione del ’48, attualmente in vigore, seppur con alcune gravi modifiche, prevede un sistema che i costituzionalisti chiamano bicameralismo perfetto. Tra le due camere non c’è alcuna differenza di ruolo e di funzioni. Il Senato della Repubblica ha un maggior prestigio puramente formale.
A tutt’oggi, cosa sia esattamente il senato immaginato da Renzi e da Berlusconi non è dato sapere.
Una costituzione perfetta non esiste, anzi non può esistere. Per cui diffidate da chi vi spaccia la sua come tale. Le costituzioni funzionano più o meno bene, soprattutto per come sono applicate, per come sono rispettate, ma anche per come sono state scritte. Funzionano meglio le costituzioni che hanno un disegno unitario, in cui c’è un’idea, più o meno espressa, più o meno esplicita, che tiene insieme le sue parti. Nella Costituzione del ’48 un disegno unitario c’era. Le riforme costituzionali degli anni successivi questo disegno lo hanno abbandonato e la nostra Costituzione somiglia sempre più a un vestito da Arlecchino, con pezze di colori e tessuti diversi.
Il “nuovo” senato è l’ennesima pezza: vi lascio immaginare su quale parte del corpo sia stata cucita. I senatori non saranno più eletti dai cittadini, ma saranno nominati da grandi elettori regionali, – che peraltro attingeranno dalle loro stesse fila – in base proporzionale al numero degli abitanti delle singole regioni. Se fosse un senato “federale” le regioni dovrebbero avere lo stesso peso, come avviene negli Stati Uniti, dove i senatori sono due sia per la California che per il Wyoming. Invece il Pd e Forza Italia hanno da sistemare propri sodali più in Lombardia e in Toscana che in Molise e quindi è saltata questa rappresentanza paritaria. I senatori non avranno più il potere legislativo, eppure godranno dell’immunità che giustamente è riconosciuta, in tutto il mondo civile, a chi esercita tale potere. Come ho scritto in un’altra definzione, questa immunità serve soltanto a garantire l’impunità a qualche amico sindaco o consigliere regionale, che quindi potrà finalmente rubare indisturbato.
Sembra un pasticcio questa riforma e, per molti versi, lo è. Ma c’è del metodo in questa follia. Intanto “lor signori”, attraverso questi servi sciocchi – per tacer delle servette – sono riusciti a liberarsi di una camera e quindi di un pezzo del potere rappresentativo e democratico. Non è poco. Le assemblee elettive subiscono un duro colpo, anche quelle apparentemente non toccate dalla riforma, perché sono riusciti a dimostrare che queste non sono poi così indispensabili. E’ la stessa cosa che hanno fatto con le Province, dove hanno eliminato solo il consiglio, lasciando in carica un presidente-podestà di nomina politica.
In un’altra epoca della nostra storia era verosimile che, diventato più maturo, dopo molti anni in cui aveva fatto il sindaco, diventasse senatore un uomo come Peppone, che certamente non era il più intelligente né il più brillante e certo non il più colto, ma che aveva buon senso e soprattutto rappresentava meglio di tutti gli altri – e anche meglio di don Camillo – la sua comunità.
Con la grande riforma che si apprestano ad approvare Peppone non diventerebbe più senatore.