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Verdi, Un ballo in maschera (dir. Solti)

Creato il 16 aprile 2014 da Spaceoddity
Verdi, Un ballo in maschera (dir. Solti)[Opera] Ho un rapporto, per così dire, confidenziale con l'edizione di Un ballo in maschera di Giuseppe Verdi diretta da Georg Solti. Questa mia preferenza non è estetica, ma affettiva. Ero reduce, quando ancora non frequentavo l'opera con continuità, da un incontro sbagliato: un'incisione degli anni '20 o '30 che non avevo la cultura per apprezzare (e che adesso, se trovassi, riascolterei volentieri). Per questo gioiello di Verdi avevo dunque un rifiuto e, come sempre capita in questi casi, c'è voluta la persona giusta che mi ha proposto il cd al momento giusto ed è stato l'amore. Prima in cd e poi anche in video. Certo, l'edizione teatrale di John Schlesinger (ripresa in video nel 1990 dal solito Brian Large) è didascalica e piuttosto  semplificatoria; inoltre non dice nulla di nuovo, ma almeno è più che onesta e accompagna alla perfezione la musica.
Oggi che amo alla follia Un ballo in maschera quasi certamente non farei di quest'edizione quella di riferimento (ma non chiedetemi quale sceglierei al suo posto, credo che cadrei sempre nella trappola di riascoltarle tutte e differire la scelta). Però ogni volta che l'ascolto o la vedo scatta qualcosa, come il ricordo di una carezza o di chissà cos'altro. È da qui che ho cominciato a conoscere quest'opera e sono grato alla direzione di Solti per il suo fuoco e all'Amelia di Josephine Barstow per avermi restituito una linea canora che altrimenti mi sarebbe sfuggita ancora a lungo. Intendiamoci, il soprano inglese gioca in casa con me, visto che è l'interprete di riferimento per un'opera di Britten, Gloriana. Oggi ne sottolineo forse qualche eccessiva difficoltà nella dizione, ma mi sembra - se si esclude l'aspetto emotivo - che la musicalità ci sia tutta e anche il temperamento drammatico. Di Placido Domingo nei panni di Riccardo/Gustavo e di Leo Nucci in quelli di Renato non vorrei parlare: apprezzo troppo l'uno e l'altro per star qui a disquisire senza la necessaria competenza di dettagli interpretativi che mi vedono troppo capriccioso per farne un discorso organico e, a suo modo, definitivo.
Verdi, Un ballo in maschera (dir. Solti)Semmai oggi posso riconsiderare con occhi nuovi altre due interpreti. L'Ulrica di Florence Quivar, per esempio, nel contesto mi sembra inadeguata, un po' troppo chiara di timbro e con fiati che fanno perdere la dinamica drammatica (l'unica della quale posso parlare con coscienza). Ma sarà forse l'italiano? Il mezzosoprano statunitense, infatti, è capace di eccellenti prove e io, al primo ascolto di questo Ballo, ero reduce dalla sua Giocasta nell'Oedipus Rex di Stravinsky, che allora costituiva un'autostrada per il plauso incondizionato (e anche oggi reputo la parte più bella della Quivar). Di contro, ci ha guadagnato nel tempo l'Oscar di Sumi Jo, personaggio a me non troppo caro. Il soprano coreano rimane per me una delle interpreti più musicali che abbiano prestato la loro arte al piccolo paggio e fa piacere ritrovare la sua voce al momento giusto, il suo brio sbrigliato e leggero.
Se proprio volessi consigliare un primo ascolto di quest'opera, ancora oggi in definitiva sceglierei l'edizione di Solti. A voler essere proprio pedanti, un solo dubbio mi rende quest'ascolto meno familiare: se Un ballo in maschera è il rifacimento del Gustavo III, incappato nei malumori della censura del tempo, perché si oscilla nel chiamare il protagonista ora Riccardo, ora Gustavo? Trovo che questa versione "mediana" sia un po' problematica ai fini drammatici e non in grado di rendere la virata drammaturgica di Verdi e Somma. Ma, data la qualità della resa complessiva, questo aspetto non può in alcun modo scalfire uno spettacolo ancor oggi di riferimento.

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