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Verità, scienza e potere: incursioni filosofiche fra vecchi e nuovi paradigmi nello stato d’emergenza del Terzo Millennio. Pars destruens

Creato il 01 maggio 2013 da Criticaimpura @CriticaImpura

 

Neuroni

Neuroni

Di LENI REMEDIOS

 

“Non a me dando ascolto, ma al logos”

Eraclito

“Ciò che noi chiamiamo progresso scientifico non è nient’altro che l’espansione delle scienze specializzate, le quali si scindono sempre di più e ci rivelano sempre di meno”

Raimund Panikkar

 

Il fatto che una cultura sia dominante non significa necessariamente che sia vera. È un tema complessissimo, che merita l’attenzione e l’approfondimento che qui non possiamo dare. Tuttavia, caro lettore, vorrei che tu lo tenessi presente come filo fondamentale del ragionamento che mi appresto ad intrecciare.

Per il momento solo alcune riflessioni a riguardo, giusto per gettare almeno un po’ di luce. Prima di tutto nella scelta delle parole: quando noi parliamo di cultura dominante ci riferiamo implicitamente ad una verità che, per l’appunto, domina. Ma siamo davvero sicuri che fra le caratteristiche precipue della verità ci sia la volontà di dominare? Non sarà forse un inganno della nostra mente il ragionamento per cui, in parole molto banali, la ragione è dalla parte del più forte?

Guardando sia alla sapienza dell’Oriente che alle antiche radici filosofiche dell’Occidente, con le dovute distinzioni, vien da chiedersi invece se la Verità sia qualcosa presso la quale porsi in ascolto, da accogliere come un ospite illustre. Chiunque abbia masticato un po’ di filosofia si ricorderà che Socrate si rivolgeva allo schiavo di Menone non per impartirgli la lezione di geometria bensì, attraverso le domande ed il dialogo, per far emergere dall’interiorità dello stesso schiavo la dimostrazione dei teoremi di geometria. Si chiama metodo maieutico: il far emergere il sapere da noi stessi, quasi un processo di risveglio, attraverso l’uso corretto della ragione.

Eppure l’Occidente (e l’Oriente occidentalizzato) non è andato in quella direzione ed in particolare la filosofia, la quale “[...] viene solitamente interpretata come la caccia della verità con il “fucile della ragione”, benché molte volte non sia che un inseguire la chiarezza con “la pistola del calcolo”[1].

“Come funziona la ricerca? Oggi il ricercatore autonomo che ha una grande idea, magari anche di grande interesse sociale, come può accedere ai fondi per la ricerca?” chiese Milena Gabanelli, giornalista, a Giuliano Preparata, fisico teorico[2]: “Praticamente non ha nessuna chance”. “Ma allora sbagliano tutti? Qualcosa di giusto ci sarà?” “No. La scienza, nel corso di questo secolo, è diventata un fatto socio-economico importantissimo, cosa che non era all’inizio di questo secolo [...]. Il vero aspetto della scienza, che provoca poi tecnologia, è che è filosofia naturale, è investigazione della natura e io spesso dico ai miei studenti che l’investigazione della natura, la ricerca scientifica non può essere una carriera, deve essere una sorta di missione. Perché se uno ha in mente la carriera ha in mente altre cose per cui, giustamente, se una cosa dà fastidio ai grandi poteri non si fa”[3].

Ho voluto indagare. Ho voluto capire se quel che diceva Preparata, quasi un canto di morte della Verità e della Libertà in ciò che paradossalmente viene ritenuta l’era delle libertà conquistate, fosse mera esagerazione, frutto magari di una frustrazione personale, o se fosse la spia di un disappunto reale presente all’interno del mondo scientifico. E a questo punto il problema si è inevitabilmente allargato. Non rimane, non può rimanere un dibattito solo interno al mondo degli addetti ai lavori o degli appassionati in materia.

E non solo perché l’apparato tecnico-scientifico sia, volenti o nolenti, invasivo di ogni aspetto della nostra vita quotidiana.

Mi son ritrovata ad un certo punto a ripercorrere i binari della fusione fredda[4], attratta dall’innumerevole quantità di problemi filosofici, politici, concettuali, aperti da questa straordinaria vicenda scientifica e umana. 

Essa farà un po’ da guida in questo excursus, per tre ragioni fondamentali: 1) prima di tutto per avere un esempio concreto su cui riflettere, senza perderci in un eccesso di speculazione. 2) Perché, dopo ventiquattro anni dall’annuncio di Fleischmann e Pons, se ne può finalmente parlare in termini relativamente più sereni, complici anche il battage mediatico sul nostrano e-cat e soprattutto grazie al riconoscimento della teoria da parte del paese che l’aveva stigmatizzata, ovvero gli Stati Uniti, primariamente da parte della NASA. Si dirà che questo tipo di parabola sofferente riguardante l’introduzione di una nuova teoria è stata alquanto ricorrente nella storia della scienza. Ci occuperemo di quanto di ciò sia vero e di quanto ci sia invece di distorto. 3)La terza motivazione è quella più importante: come dicevo, mi sono resa conto di come la “fusione fredda” s’inserisca in un quadro concettuale più ampio, di cui essa è solo “la punta di un iceberg” come scrisse lo stesso Preparata[5].

Vorrei cioè invitare il lettore a fare lo sforzo di uscire dallo schema semplicistico che legge in questo episodio della nostra storia “solamente” la scoperta di una nuova fonte energetica. Si tratta anche di questo, ma non solo di questo. Si tratta di nuovi paradigmi scientifico-concettuali che, sulla base delle ultime frontiere della fisica quantistica, sconquassano certezze culturali date ormai per stabilite e quasi irremovibili. Andiamo anche oltre: non si tratta solo di nuovi paradigmi, di nuove teorie: ma anche di un cambiamento radicale nell’approccio con la realtà, un nuovo modo di considerare il rapporto io-mondo e che riguarda quindi non solo l’osservatore scientifico, bensì tutti noi.

Chiariamo subito un aspetto che riguarda soprattutto le parti critiche: non mi propongo qui di propinare una verità o di dimostrare la veridicità o meno di certe posizioni, non ne ho le competenze e non è nemmeno il mio intento, come si evince dalle suddette premesse. Tuttavia accolgo la lezione pasoliniana nel sottolineare il dovere, per un intellettuale, di esercitare al massimo grado la propria capacità critica e d’indagine e tentare di ristabilire “[...] la logica là dove sembrano regnare l’arbitrarietà, la follia e il mistero”[6].

Sia nella pars destruens che nella pars construens, costituenti questo saggio, saranno ampiamente presenti due attori: il pensiero filosofico, che sta invero alle fondamenta di tutto il ragionamento e lo stato d’emergenza in cui versa la nostra civiltà. Si tratta di un’emergenza multiforme: energetica, economica, culturale, osiamo anche la parola spirituale (in un senso ulteriore rispetto a quello strettamente confessionale. Vedremo che quest’ultimo aspetto emergenziale fa in modo di accelerare doverosamente processi culturali che in realtà non sono nuovi all’umanità, ma appunto lo stato non più prorogabile in cui ci troviamo aiuta a ri-considerarli e a re-investirli di nuova luce, proprio “alla luce” delle nuove scoperte scientifiche e di un nuovo modo di stare al mondo, supportato da un pensiero filosofico finalmente rinnovato. Infine, il lettore è caldamente invitato a verificare le affermazioni che seguono ed a mettere in moto a sua volta il proprio spirito critico, anche e soprattutto nei confronti di questo scritto.

PARS DESTRUENS: zombie science, discredito patologico, pseudo-scetticismo ovvero come la Scienza ha tradito se stessa

Pochi mesi fa è uscito nel Regno Unito un volume dal titolo Nemmeno ci provano: la corruzione della vera scienza a cura di Bruce Charlton, professore di Medicina Teorica all’università di Buckingham. In questo libro riprende, argomentandolo ampiamente, un tema che aveva già affrontato in precedenti articoli e cioè lo stato di estrema corruzione in cui versa l’establishment scientifico attuale. Nel 2009 coniò la definizione di zombie science per definire il fenomeno e lo spiega così: “Quando una branca della scienza basata su teorie incoerenti, false o finte sta servendo uno scopo utile ma non-scientifico può essere mantenuta da continue trasfusioni di denaro da parte di coloro i cui interessi non-scientifici essa serve. Tale gruppo di interesse si muove, tuttavia non è veramente vivo, agisce con intenzione ma non può essere ucciso; è un non-morto senza sensibilità, animato esternamente dai fondi: una scienza zombie”[7].

Più di un decennio prima Emilio Del Giudice, fisico teorico, già scriveva: “Questa prospettiva di progresso impetuoso della scienza nasce però nell’epoca storica in cui le esigenze poste dalla struttura economica della società ad una scienza, i cui ricercatori si sono vincolati ad aderire alle richieste di profitto dei capitali già investiti che richiedono stabilità di prospettive, hanno ingessato la sua dinamica interna, vincolandola a restare abbracciata alla sua carne morta, al suo cadavere, a quello che ha prodotto in un momento storico dato e che deve restare in vita finché i capitali investiti non abbiano fruttato fino all’ultima goccia”[8].

Ma non basta. Per mantenere questo status lo “zombie” deve fare piazza pulita, utilizzando metodi compatibili con l’assetto sociale democratico, di persone e teorie che potrebbero scompaginare i suoi piani. Il modo più semplice è quello di ridicolizzarle. Immagino che il lettore attento s’indispettisca, ritenendo quest’ultimo un atteggiamento inammissibile, molto poco scientifico.

In effetti Roberto Germano, ricercatore indipendente che si è occupato in maniera approfondita di fusione fredda, definisce quest’aspetto pseudo scetticismo, rifacendosi al concetto di discredito patologico coniato dal premio nobel Brian Josephson. Quest’ultimo aveva osservato che, così come succede che scienziati troppo entusiasti e poco attenti diano eccessivo credito a scoperte che poi si rivelano non-reali (fenomeno definito dal chimico Irving Langmuir scienza patologica), allo stesso modo può succedere che fenomeni reali siano rigettati dalla comunità scientifica sulla base di pregiudizi. Ovvero, spiega Germano, le nuove teorie non vengono falsificate attraverso gli appositi procedimenti e gli opportuni controlli, bensì vengono rifiutate per partito preso. Oppure, nel caso in cui siano state verificate, i risultati semplicemente non vengono pubblicati, quindi non sono nemmeno sottoponibili alla revisione dei pari comunemente utilizzata per ratificare una teoria[9]. Il tutto rimane così in preda a congetture, insulti, satira, generalmente nel web o nei media in generale. L’uomo della strada è talmente abituato al modello mediatico delle discussioni urlate, dei dibattiti in cui chi più insulta vince, che in tutto questo non ci vede nulla di strano, ed accetta il verdetto della comunità scientifica come un decreto istituzionale[10].

A questo punto è utile introdurre l’esempio della fusione fredda, illustrante un paradigma “comportamentale” che potrebbe avere punti in comune con molti altri casi, conosciuti e non. Nel marzo del 1989 due elettrochimici, l’inglese Martin Fleishmann ed il suo allievo americano Stanley Pons, indirono una conferenza stampa presso l’Università dello Utah, in cui annunciarono al mondo i risultati di esperimenti scientifici autofinanziati durati cinque anni: “la fusione nucleare, con una produzione utilizzabile di calore, si poteva generare facendo una semplice elettrolisi di acqua pesante, con elettrodi di Palladio e Platino; senza temperature stellari, senza costi stratosferici e senza fisici nucleari”[11].

Se si pensa che venne proposta in laboratorio una replica di quanto avvenga ordinariamente nelle stelle a temperature elevatissime, si considera inevitabile che una teoria del genere fosse destinata ad un normale, iniziale scetticismo di fondo, come ben spiega lo scienziato Eugene Mallove in un’intervista del 1998[12], lui scettico fra gli scettici. Ma dal normale e sano scetticismo, che sempre accompagna l’introduzione di una nuova teoria, si passò rapidamente ad un vero e proprio accanimento e lo si notò nel progressivo indurirsi delle parole: da pseudoscienza e scienza patologica si passò a definizioni come “fiasco scientifico del secolo” e addirittura al termine “frode”.

Le accuse giunsero in prima battuta dall’American Physical Society: si trattava pur sempre di due chimici che ritenevano di aver fatto una scoperta sensazionale laddove i fisici, trainati dal grande e dispendioso carro della fusione calda, stavano fallendo. Non è un particolare da poco. In questo esempio ci sono due fondamentali questioni in ballo: due specializzazioni scientifiche che sembrano non comunicare propriamente fra loro (lo vedremo quando si affronterà il tema della frammentazione del sapere) ed il flusso dei fondi già prestabilito in una certa direzione[13].

Poi accaddero molti episodi “oscuri”, dei quali ricordiamo il più lampante. Il prestigioso Massachussetts Institute of Technology, MIT, che nella persona del suo direttore Ronald Parker aveva bollato la fusione fredda come “frode”, rese pubblici i propri esperimenti in merito, nei quali non si verificava eccesso di calore e quindi si decretava la proposta di Fleischmann e Pons come menzognera. Ricordiamo che gli scienziati del MIT si occupavano di fusione calda nelle loro ricerche. Eugene Mallove, allora caporedattore scientifico dell’ufficio stampa del MIT, si accorse che i dati dei grafici erano stati manomessi: dove stava la vera frode? Indignato dalla vicenda e da altri episodi collegati, Mallove si licenziò dal MIT. Da allora divenne un acceso sostenitore della fusione fredda e fondò Infinite Energy, una rivista che diresse  per circa quindici anni, fino alla cruenta morte nel 2004 in seguito ad un’aggressione. Molti sospetti sono stati sollevati verso questo triste frangente, e per aumentare il carico di complottismo diciamo pure che ad un certo punto Fleischmann “scopre di avere una parte di intestino aggredita da centinaia di piccoli tumori, che potrebbero essere compatibili con un avvelenamento da polvere radioattiva molto localizzato”[14] e riesce a salvarsi in extremis con un’operazione in patria. Diciamo pure che la stessa identica cosa accadde al nostro Giuliano Preparata, ma per lui fu troppo tardi: ne morì nel 2000. Lascio al lettore la facoltà di indagare ulteriormente e di decidere se si tratti di paranoia complottista o altro[15].

Dopo la fatidica conferenza stampa del 1989, gli esperimenti si moltiplicarono in tutto il mondo, a livello esponenziale, anche e soprattutto nel nostro paese e sempre di più con il passare degli anni. La campagna denigratoria verso la fusione fredda in generale, complice lo stato di “acriticità diffusa” dei media[16], oggettivamente dipendenti, per ignoranza in materia, dai cosiddetti esperti, è stata così forte ed efficace da provocare un effetto psicologico che dura ancora oggi: l’induzione del pensiero “aprioristico” che occuparsi di fusione fredda porti alla ridicolizzazione e che, quindi, sia opportuno non occuparsene[17].

Si capisce bene quindi che l’ordine degli interrogativi a questo punto si sposta. La domanda non è più “perché così tanta resistenza ad una nuova teoria?” bensì, riprendendo le parole dello stesso Fleischmann “chi potrebbe volere il successo di questa ricerca”? Tuttavia, come disse lo stesso Mallove, “L’hanno solo rallentata, ma non possono fermarla”[18].  Io invece mi fermo qui con questo caso, ma solo per ora.

Come si è arrivati a tutto ciò? Intendo, come si è arrivati ai comportamenti degenerativi che si evincono certo da questa vicenda ma che sembrano caratterizzare l’ambiente scientifico in generale? La storia della scienza è relativamente recente. Per come la conosciamo, essa ha poche centinaia di anni. È soprattutto a partire da fine Settecento che essa ha iniziato un cammino in ascesa, con una velocità sempre crescente in termini di nuove scoperte e di affinamenti metodologici. Poi è arrivato il grande intreccio col potere politico ed economico, che aveva fiutato negli scienziati un serbatoio d’idee utile alle proprie ideologie, soprattutto quelle militari. E così si è giunti alla Big Science, che si fa generalmente coincidere con la seconda guerra mondiale e con lo sviluppo del famigerato Progetto Manhattan, programma di ricerca finalizzato alla realizzazione delle prime bombe atomiche: centinaia di menti e migliaia di lavoratori coinvolti in uno dei più grandiosi laboratori di morte che la storia abbia mai contemplato.

Più o meno da quel momento in poi le scienze e gli scienziati hanno progressivamente perso sempre di più il legame con la Verità per seguire quello dei fondi, tramutandosi in un gigantesco apparato burocratico autoreferenziale, dove il ricercatore persegue i programmi che sono più papabili di stanziamento di denaro e dove il riconoscimento delle teorie avviene non tanto nell’ambito dei test e delle verifiche, quanto nella pubblicazione ufficiale stessa consacrata dal meccanismo della peer review, che non è altro che un giudizio, da parte di colleghi più anziani ed esperti, certamente, ma pur sempre un giudizio, molto spesso condizionato da centri di potere collegati ad alcuni membri componenti la stessa commissione giudicante.

Insomma, da cercatore della Verità lo scienziato si sarebbe trasformato in un burocrate professionista disonesto; preferibilmente dall’intelligenza mediocre e dalla personalità non troppo accentuata, poiché gli si chiede di adeguarsi ad un piano, non di procedere secondo le sue brillanti intuizioni[19]. La Scienza poi, colei che si è liberata dalle autorità religiose in nome di una ricerca laica e scevra da condizionamenti, colei che ha riposto una fede granitica nel metodo ipotetico deduttivo e che impugna il principio popperiano della falsificabilità, insomma proprio lei, ha finito con l’inchinarsi al principio d’autorità: una teoria è vera o falsa perché lo dico io. Da sistema di teorie verificabili o falsificabili a dogma.

Ma facciamo un passo indietro. Apparato tecnico-scientifico, civiltà della tecnica, etc.: sono, giustamente, argomenti ricorrenti nei dibattiti filosofici degli ultimi anni. Secondo la visione di Emanuele Severino, uno dei nostri più grandi filosofi, l’attuale stato della scienza e della tecnica, chiamato appunto apparato, è la conseguenza naturale, il frutto di un terreno che è stato seminato, preparato dalla filosofia stessa, precisamente quella filosofia che, a partire dai Greci, ha interpretato il divenire degli enti (il loro nascere e morire) come un venire dal nulla e ritornare nel nulla. Di fronte ad una precarietà così radicale dell’esistente, che genera angoscia, l’umanità ha avuto bisogno di volta in volta di fare riferimento ad un Immutabile, che fosse al contempo garante di questo divenire e rimedio all’angoscia provocata dal divenire stesso: gli dei, Dio, le ideologie, i vari sistemi economico-politici, ed infine l’apparato tecnico-scientifico il quale, progressivamente, ha scalzato tutti gli Immutabili portatori di Episteme (Verità incontrovertibile) affermandosi come la vera e propria ideologia dominante.

Anche quando le altre ideologie (politiche, economiche, religiose) si servono dell’Apparato, prosegue Severino, in realtà s’illudono, poiché sono esse stesse, semmai, a servire l’Apparato, diventato, da mezzo che era, scopo[20]: “Sulla scacchiera, cioè all’interno dell’essenza dell’Occidente, preparata dal pensiero greco, l’Apparato scientifico-tecnologico è il nuovo rimedio contro il dolore provocato dalla fede nel divenire. È l’ultimo Dio”[21].

La differenza fondamentale con le altre forme di dominio è che l’Apparato tecnico-scientifico non si pone come Verità Assoluta Incontrovertibile, al contrario: poggiando saldamente sul metodo ipotetico-deduttivo, essa si rende disponibile ad essere smentita. È questo, potremmo aggiungere, lo status fondamentale della scienza: l’essere in continua evoluzione, il rimettersi in discussione senza affossarsi su rigidi dogmatismi. La distruttrice di ogni episteme quindi, finalmente libera dal giogo delle autorità religiose, politiche, economiche, s’impone sulla civiltà umana come la massima espressione della fede nel divenire, ovvero la fede nel fatto che tutto venga dal nulla e torni nel nulla. Gli enti (le persone, le cose, gli elementi della natura) in questo modo vengono concepiti come assolutamente precari, in preda alla voracità del nulla. Ed è la loro estrema precarietà a renderli manipolabili, dominabili: l’Apparato tecnico-scientifico procede come uno schiacciasassi, macina sempre nuove scoperte, teorie, paradigmi e pone sempre nuove finalità. Nulla può fermare questo processo, che sembra senza limiti: “E tale potenza [...] non è qualcosa di statico, ma  indefinito potenziamento, incremento indefinito della capacità di realizzare scopi”[22]. La sempre crescente parcellizzazione del sapere è funzionale alla volontà di manipolare, dominare le cose: più io isolo una cosa dal contesto più posso esercitare su di essa la mia volontà manipolativa. La scienza-tecnica si pone come supremo demiurgo in grado di manipolare tutto, anche la vita (umana e non), in nome del suo progresso. Essa è scopo, non più mezzo, ricordiamolo.

Ora, si può anche non essere d’accordo sull’interpretazione di Severino, io stessa mi trovo titubante di fronte ad una lettura esclusivamente metafisica della  realtà, con la titubanza reverenziale che si ha nei confronti di un grande pensiero. Tuttavia la chiave di lettura è preziosa ed offre uno squarcio di verità che, a prescindere dalle premesse ontologiche, è ormai terreno comune di molte sensibilità filosofiche: ho sentito intellettuali porsi per esempio il problema di come la scienza stia diventando sempre più “produttrice di senso”, non solo per gli addetti ai lavori, ma anche per il cosiddetto uomo della strada[23] e “solo” questo è sintomatico della superiorità nei confronti di tutte le altre forme di dominio, che sia politico, religioso o quant’altro.

Tutto ciò s’inscrive nel quadro già citato di sempre maggiore frammentazione del sapere, che si può ormai considerare un’evidenza del nostro tempo, un’evidenza problematica. Con una puntualizzazione: come viene spesso sottolineato, la specializzazione non è un male in sé, anzi: “In effetti, lo studio di qualsiasi campo inizia con un atto naturale di astrazione, al fine di focalizzare determinati ambiti d’interesse”[24] affermano David Bohm e David Peat, sottolineando la naturalità del focalizzare lo sguardo al fine dell’indagine. Tuttavia, se esso perde il contatto con l’insieme, finisce per snaturare la vera essenza di ciò che indaga. Infatti, storicamente, questa naturale inclinazione umana ha preso una pericolosa piega, come spiega bene Charlton: “Per un po’, perciò, la specializzazione ha portato a grandi conquiste all’interno delle sue divisioni, divisioni attraversate ancora da un’integrazione sufficiente a mantenere l’unità ed a controllare l’errore. Ciò nonostante, la specializzazione è andata avanti oltrepassando questo punto ottimale e passando in una sempre meno funzionale frammentazione – così che la scienza ha perso l’unità e gli specialismi hanno perso l’abilità di servire come mutui controlli. La scienza si è gradualmente mutata in null’altro che micro-specialismi isolati ed irrefutabili”[25]

Mi preme sottolineare l’azione disturbante del Potere in tutto questo (intendo con questo termine il coacervo inscindibile di poteri politici, economici, finanziari, militari intimamente connessi uno con l’altro), un’azione che si frappone in questo processo come un vero bastone fra le ruote e, per quanto nella visione di Severino esso sia in realtà al servizio dell’Apparato tecnico-scientifico, voglio indagare un po’ più a fondo la sua forza d’azione, che ritengo ancora molto pesante e gravida di conseguenze.

Ciò nonostante – e questo è un altro aspetto intrigante della questione – ritengo pure che il Potere, proprio perché all’apice della sua espressione in termini di sfruttamento delle risorse e dispiegamento delle forze repressive, proprio per questo sia disperato. E d’altra parte cos’altro si può fare una volta raggiunto l’apice se non iniziare a cadere? Un’alternativa può essere quella di imparare finalmente a volare. Ma invece il Potere si sta aggrappando alla cima, come una vecchia aquila ostinata a non voler volare.

Voglio approfondire ulteriormente questo punto: fin dove si è spinto questo meccanismo? Qual’è l’ultima soglia, il non plus ultra della nostra civiltà all’apice del Potere (e quindi sul ciglio dell’abisso)?

Noi, che ci consideriamo il baluardo del genere umano; noi che abbiamo santificato, su un immaginario altare laico, i diritti inalienabili dell’individuo, le libertà individuali di ogni tipo, compresa la libertà della ricerca scientifica. L’intuizione filosofica di fondo qui è che, alla base dei vari collassi che l’umanità sta attraversando proprio in questa precisa fase storica, pulsi la stessa matrice concettuale. Una matrice che ha spinto l’umanità, usando le parole di Romano Màdera, ad uno “[...] stupefacente balzo in avanti della coscienza morale collettiva di specie”[26].

In cosa consiste questo balzo in avanti? La Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, del 1948, è stato forse il conseguimento più alto nella storia dell’umanità in termini di salvaguardia dei diritti di ogni singolo individuo, eppure “una comune mentalità si va formando, di tale forza da costringere anche i responsabili di crimini seriali contro l’umanità a tentare di giustificarsi come vittime di qualche sopruso. Chi viola la carta dei diritti dell’umanità  fa implicito o esplicito riferimento a essa per giustificarsi”[27]. Eccolo lì, il balzo in avanti. Un corto circuito, un cerchio che si chiude in maniera perversamente geniale.

Tutti noi ricorderemo l’esultanza del pianeta di fronte ad un capo di stato occidentale, Barak Obama che, circa due anni fa, proclamò di aver fatto uccidere il suo massimo nemico[28]. Un episodio chiave del nostro tempo, indicante l’atteggiamento di fondo, la matrice dicevamo, che domina incondizionatamente ogni campo del reale, e potremmo declinarlo in mille direzioni: in nome della mia libertà individuale io, in quanto donna, rivendico il mio diritto ad essere mercificata; in nome del progresso scientifico, che promuove il benessere dell’individuo, sono pronto a sperimentare sulla vita di esseri viventi, umani e non[29]; infine, parafrasando le parole di Màdera: chi viola la libertà della ricerca scientifica fa implicito o esplicito riferimento, per giustificarsi, ai principi della scienza e a coloro che furono perseguitati in nome di quella libertà. Scrive ad esempio Giuliano Preparata, riguardo al vero e proprio accanimento verso coloro che si occuparono di fusione fredda: “[...] gli scienziati (una moltitudine impressionante) e le istituzioni scientifiche che hanno reso e rendono la vita impossibile allo sparuto drappello di coloro che hanno preso sul serio il messaggio di Fleischmann e Pons, sono gli stessi che ci ricordano ad ogni pie’ sospinto il grande debito che l’umanità ha nei confronti di quei coraggiosi (Galilei, Bruno, Copernico, ndr) e di chi, sfidando Inquisizione, comunità accademica e varie istituzioni politico-economiche del tempo, li volle seguire”[30].

Di nuovo evochiamo il mantra negativo del nostro tempo: in nome del diritto alla difesa e della libertà individuale, io ti sopprimo. In nome della scienza e di chi l’ha costruita, io ti zittisco. In nome della legge io, legislatore, violo la legge. Al culmine del nostro sviluppo come civiltà umana troviamo l’esultanza del boia, il compiacimento dell’inquisitore,  la sfacciataggine del legislatore disonesto che recita la parte della vittima. A questo punto è chiaro che il quadro sia disperante per colui o colei che si trova anche solo minimamente ad indagare la realtà con occhi sinceri e cuore affrancato. È una sensazione quasi di afasia paralizzante: il rovesciamento è massimo, oltre questa soglia non si può andare, oltre questa soglia solo il baratro, un punto di non ritorno.

Come se ne esce? Come si esce da un orizzonte così avvilente, in cui la onnipervasività di questo modus vivendi et operandi sembra non lasciare spazio a qualsiasi modo di pensare altrimenti? È forse qui e adesso che il pensiero filosofico può ridiventare protagonista di una renovatio, di un cambiamento radicale di prospettiva rispetto alla cultura dominante? La mia riflessione mi ha portato a dare una risposta affermativa a tale questione, con una correzione aggiuntiva: sì, ma non da sola. O meglio: riprendendo il suo legame con “la domanda sul senso”  e con il “senso del tutto”[31]. Che è un legame antico, non nuovo. Ma dimenticato, smarrito anch’esso -  e travolto – nell’oceano della microspecializzazione. Occorre oggi riprendere le fila del senso e del tutto, in un necessario  dialogo profondo, anzi, rubando l’espressione da Panikkar,  “in mutua fecondazione” con gli altri saperi[32].


[1] R. Panikkar,  Pace e disarmo culturale (1993), Rizzoli, Milano, 2003  p. 35.

[2] Per un buon profilo biografico si veda http://www.accastampato.it/tag/giuliano-preparata/ (magazine on line redatto da studenti e giovani ricercatori).

[3] Si veda http://www.youtube.com/watch?v=3IFormJZEQY.

[4] Sarebbe più corretto chiamarla fusione nucleare a basse temperature, conosciuta con l’acronimo americano LERN, ma per comodità continueremo a chiamarla fusione fredda.

[5] G. Preparata, Prefazione a R. Germano, La fusione fredda. Moderna storia d’inquisizione e d’alchimia, Bibliopolis, Napoli, 2003, p. 17.

[6]P.P. Pasolini, Cos’è questo Golpe?Io so, Corriere sella Sera, 14 novembre 1974.

[7]B. Charlton, Not even trying: the Corruption of Real Science, University of Buckingham Press, Buckingham, 2012, Kindle Edition, location 1575, traduzione mia.

[8] E. Del Giudice, Prefazione a G. Preparata, L’architettura dell’Universo. Lezioni popolari di fine secolo su ciò che la scienza è riuscita a capire sulla struttura dell’Universo,Bibliopolis, Napoli, 2001, pag. 14.

[9] Per quanto l’uso della peer review, ovvero un giudizio da parte di esperti della stessa materia, sia molto discutibile, come osserva Charlton e come vedremo, ma in ogni caso non viene nemmeno utilizzato in quanto non si arriva alla pubblicazione.

[10] Si veda al proposito l’intervento di R. Germano al convegno Verso una rivoluzione energetica non inquinante, organizzato dall’Università degli studi di Palermo il 2 luglio 2012 a Roma presso la Sala Mercede della Camera dei Deputati; consultabile qui http://www.youtube.com/watch?v=Qg8ewbUh22w.

[11] R. Germano, op.cit., pp. 41-42.  Dallo stesso volume provengono in buona parte le informazioni che fornisco in questa sezione.

[12] Consultabile qui  http://www.youtube.com/watch?v=avpoIAKvYmU.

[13] Le accuse, in particolare, consistevano nella non-riproducibilità degli esperimenti, un refrain ossessivo che trovò terreno fertile per molti anni, e l’assenza di fenomeni che rendessero conto di una reazione nucleare. Per motivi di spazio non posso scendere in dettaglio, ma in buona sostanza le accuse di non-riproducibilità erano legate ai tempi di caricamento: per caricare il palladio col deuterio ci volevano settimane, talvolta mesi, ma i detrattori decretarono la fallibilità degli esperimenti dopo pochissimo tempo: era ovvio che essi risultassero fallimentari! Riguardo alla seconda obiezione: non è solo la presenza di neutroni a decretare una reazione nucleare, ma anche quella di elio 4, come avviene effettivamente  nella fusione fredda.

[14] M. Torrealta, E. Del Giudice, Il segreto delle tre pallottole,  Edizioni Ambiente, Milano, 2010, Kindle Edition, location 665.

[15] Fra i molti altri episodi anomali accenno ad altri tre, rinviando per approfondimenti il lettore ai testi citati di R. Germano e di M.Torrealta/E. Del Giudice: la strana telefonata che Fleischmann ricevette da parte di Edward Teller, il padre della bomba all’idrogeno (colui che ispirò il personaggio del “Dottor Stranamore”); la vera e propria persecuzione subita dal fisico J. Bockris; il modo incredibile in cui si pose fine alle fruttuose ricerche del gruppo ENEA di Frascati, in cui tra l’altro lo stesso Premio Nobel Carlo Rubbia, che ne aveva parzialmente curato il progetto, sparì all’improvviso senza spiegazione alcuna.

[16] R. Germano, op. cit., p. 54. Qui l’autore, molto saggiamente, non punta il dito contro i media tradizionali, ma individua delle difficoltà oggettive nella comunicazione fra essi e mondo scientifico, distinguendo quest’ultima dalle effettive responsabilità legate alla complicità dei media con i centri di potere.

[17] Si veda il paragrafo “Fusione raffreddata” o timore del ridicolo? In R. Germano, op. cit. , pp. 131-133.

[18] Intervista consultabile qui: http://www.youtube.com/watch?v=avpoIAKvYmU.

[19] Si veda il capitolo From real Science to generic Bureaucracy, in B. Charlton, Not even trying, op. cit.  Quello sulle individualità è un bel punto sottolineato da Charlton, a cui qui non possiamo dare spazio, ma che spiega la carenza di personalità geniali in ambito scientifico nell’ultima porzione della nostra storia.

[20] Per un approfondimento su senso greco del divenire, episteme e destino in Emanuele Severino si veda in particolare E. Severino, La filosofia futura, Parte Prima, Capitolo I, 1989, BUR, Milano, Prima edizione digitale 2012 dalla edizione BUR  saggi 2006. Per approfondire il legame fra questi temi, previsione scientifica ed  Apparato tecnico-scientifico si vedano, sempre dalla stessa edizione, la Parte seconda Capitoli VII e VIII, nonché, a cura dello stesso autore, il volume Il destino della tecnica, BUR, Milano, 1989-2009.

[21] E. Severino, Il destino della tecnica, op. cit., p. 185.

[22] Ibid., p. 9.

[23] Ernesto Galli della Loggia, discorso introduttivo al Convegno Scienza e società. Aspetti etici, politici e cognitivi, 30 Settembre 2006, Facoltà di Filosofia dell’Università Vita-Salute San Raffaele (Milano), consultabile qui: http://www.youtube.com/watch?v=B_hOZXXB4CM.

[24] D. Bohm and D. Peat, Science, order and creativity (1987), Routledge, London, 1989, pp. 16-17.

[25] B. Charlton, op. cit., Kindle Edition, location 278-281.

[26] R. Màdera, Filosofia come esercizio e come conversione, in R. Màdera, L.V. Tarca, La filosofia come stile di vita, Bruno Mondadori Editori, 2003, op.cit., p. 5.

[27] Ibid., p. 5.

[28] La riflessione qui posta esula dal fatto che tale omicidio fosse reale o meno.

[29] Vedi i neonati morti in seguito alle sperimentazioni sui vaccini operate dalla Glaxo, episodio che ho già riportato con i riferimenti in un mio precedente saggio su Lovecraft, si veda Leni Remedios, L’orrore fenomenologico di H.P. Lovecraft. Il sogno e il nichilismo, il fascinans ed il tremendum, in http://www.criticaimpura.wordpress.com.

[30] G. Preparata, Prefazione a R. Germano, op.cit, pp. 15-16.

[31] R. Màdera, Filosofia come esercizio e come conversione, op. cit., p. 3.

[32] Panikkar utilizza questa bella espressione in riferimento al dialogo fra le diverse religioni. 

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