Fra le poesie di Contenitore Lampedusa, la voce della giovanissima poetessa Warsan Shire, ”non suona lotta”. E’ la lotta fra l’oppresso e l’oppressore non può limitarsi al pietismo e alla compassione dello sguardo dell’Altro, che poi ha “altro” da fare il giorno dopo. Siamo nati per caso su questa terra e distribuiti a caso nei suoi frammenti di spazio, possiamo differenziare le nostre vite solo riformando in ogni luogo il diritto alla dignità e alla vita stessa. Non è da poco conto ricordalo.
Contenitore Lampedusa vorrebbe che la tomba marina di Lampedusa sia l’ultima nelle nostre acque, e i poeti che hanno lasciato i loro versi, credono che un per una nuova partecipazione sociale tutto quello che si deve scrivere e fare vada fatto oltre il giorno della compassione mediatica.
Tutte le poesie di Contenitore Lampedusa sono scaricabili gratuitamente dal sito Glob011.
Casa
di Warsan Shire
(Traduzione di Pina Piccolo)
Nessuno lascia la propria casa a meno che
casa sua non sia la bocca di uno squalo
verso il confine ci corri solo
quando vedi tutta la città in fuga
i tuoi vicini che corrono più veloci di te
in gola il fiato insanguinato
il tuo ex-compagno di classe
quello che ti ha baciato fino a farti girare la testa dietro alla fabbrica di lattine
ora tiene nella mano una pistola più grande del suo corpo
lasci casa tua
quando è proprio lei a non permetterti più di starci.
nessuno lascia casa sua a meno che non sia proprio lei a scacciarlo
fuoco sotto ai piedi
sangue che ti bolle nella pancia
non ti sarebbe mai saltato in testa di farlo
se non fosse per la lama che ti stampa minacce incandescenti
sul collo
e nonostante tutto continui a canticchiare l’inno nazionale
sottotono
e solo dopo aver strappato il passaporto nei bagni di un aeroporto
singhiozzando ad ogni boccone di carta
ti risulta chiaro il fatto che non ci tornerai.
dovete capire
che nessuno mette i figli su una barca
a meno che l’acqua non sia più sicura della terra
nessuno va a bruciarsi i palmi delle mani
sotto i treni
sotto i vagoni
nessuno passa giorni e notti nel ventre di un tir
nutrendosi di giornali a meno che le miglia percorse
abbiano un significato diverso da un qualsiasi altro viaggio.
nessuno striscia sotto ai recinti
nessuno vuole essere picchiato
commiserato
nessuno se li sceglie i campi profughi
o le perquisizioni a nudo che ti lasciano
il corpo pieno di dolori
o il carcere,
perché il carcere è più sicuro
di una città che arde
e un secondino
nella notte
è meglio di un carico
di uomini che assomigliano a tuo padre
nessuno ce la può fare
nessuno lo può sopportare
nessuna pelle può resistere a tanto
Il
Tornatevene a casa neri
rifugiati
sporchi immigrati
richiedenti asilo
che prosciugano il nostro paese
negri con le mani tese
hanno un odore strano
selvaggio
hanno distrutto il loro paese e ora vogliono
distruggere il nostro
le parole
gli sguardi storti
come fai a scrollarteli di dosso?
forse perché il colpo è meno duro
che un arto divelto
o le parole sono più tenere
che quattordici uomini tra
le cosce
o gli insulti sono più facili
da mandare giù
che le macerie
che le ossa
che il corpo di tuo figlio
fatto a pezzi.
a casa ci voglio tornare,
ma casa mia è la bocca di uno squalo
casa mia è la canna di un fucile
e a nessuno verrebbe di lasciare casa sua
a meno che non sia stata lei a inseguirlo fino all’ultima sponda
a meno che casa tua non ti abbia detto
affretta il passo
lasciati stare i tuoi stracci
striscia nel deserto
sguazza negli oceani
annega
salvati
fatti fame
chiedi l’elemosina
dimentica la tua dignità
la tua sopravvivenza è più importante
Nessuno lascia casa sua se non quando essa diventa una voce sudaticcia
che ti mormora nell’orecchio
Vattene,
scappatene da me adesso
non so cosa io sia diventata
ma so che qualsiasi altro posto
è più sicuro che qui.