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Verso il processo d’appello di Via Poma. Un omicidio che scosse l’Italia

Creato il 24 ottobre 2011 da Yourpluscommunication

Verso il processo d’appello di Via Poma. Un omicidio che scosse l’Italia. ( seconda parte)12 MARZO 2010: nel corso di questa udienza avrebbe dovuto testimoniare Pietrino Vanacore, ex portiere dello stabile di via Poma e per molto tempo sospettato dell’omicidio di Simonetta Cesaroni. Ma l’uomo, il 9 marzo 2010, si è tolto la vita (nella foto a sinistra il ritrovamento, sotto il biglietto che ha lasciato) . Il pm Ilaria Calò avanza il sospetto che Vanacore sia coinvolto nella vicenda: “Vanacore individuò il corpo senza vita della Cesaroni nelle stanze del direttore, Corrado Carboni”, ma – sempre secondo il pm – non chiamò la polizia, pensando che si trattasse di un incidente in seguito a un “incontro clandestino”.

Vanacore avrebbe quindi effettuato tre telefonate: una al presidente degli Ostelli della Gioventù, Francesco Caracciolo, una al direttore Corrado Carboni e una a Salvatore Volponi, il datore di lavoro di Simonetta. Il portiere a quel punto “non allerta la polizia, prende le chiavi con il nastro giallo, che erano quelle di riserva per accedere agli uffici ed erano appese ad un chiodo dietro la porta, e va via chiudendo l’ingresso”.

Verso il processo d’appello di Via Poma. Un omicidio che scosse l’Italia. ( seconda parte)
Vanacore però dimentica nell’appartamento la sua agendina rossa, che un mese dopo verrà data dagli inquirenti alla famiglia della vittima, pensando che fosse di Simonetta. Non riconoscendola come appartenente agli oggetti personali della figlia, il padre la renderà alla polizia.
Viene letta la dichiarazione del colonnello dei carabinieri Giovanni Danese (ora deceduto): “Il 7 agosto 1990 , intorno alle 16, ero in attesa del mio autista quando vidi un giovane di circa 25 anni, distinto, che mi chiese con fare balordo dov’erano gli uffici dell’Aiag. Non sapendo rispondergli e credendo fossero gli uffici del Comune, gli indicai il palazzo di fronte. Mi disse però che era sicuro che fossero lì, in via Poma 2, e io allora gli indicai la portineria. Andò via senza salutare, ma dopo 15 minuti ritornò”.
Salvatore Volponi non si presenta a testimoniare in quanto, scrivono i medici, “affetto da una depressione bipolare” da alcuni anni.

Verso il processo d’appello di Via Poma. Un omicidio che scosse l’Italia. ( seconda parte)
7 APRILE 2010: per la seconda volta Salvatore Volponi non rende testimonianza per motivi di salute. 
Due impiegate dell’Aiag sostengono che Pietrino Vanacore effettuava lavoretti saltuari negli uffici di via Poma e per questo, per un periodo di tempo, aveva posseduto le chiavi di quell’appartamento.
Un altro dipendente dell’Aiag, il ragioniere Luciano Menicocci, sostiene che sia Salvatore Volponi che Ermanno Bizzochi (l’altro gestore della Reli Sas) sapessero dove si trovavano gli uffici di via Poma e ne avessero anche il numero di telefono. Volponi invece, secondo la testimonianza di Paola Cesaroni, il giorno del delitto aveva detto di non conoscere l’ubicazione degli uffici.

9 APRILE 2010: Testimonia Francesco Caracciolo, ex presidente dell’Associazione Italiana Alberghi della Gioventù. Sostiene di non aver mai conosciuto Simonetta Cesaroni.
Testimonia Luigina Berrettini, responsabile dell’ufficio del personale dell’Aiag all’epoca dei fatti, che dichiara di non aver conosciuto personalmente Simonetta ma di averle parlato telefonicamente 2 volte il pomeriggio del 7 agosto: “Erano le 17.15 quando Simonetta mi chiamò a casa. Mi disse che aveva difficoltà nell’inserimento di alcuni dati nel computer. Io non sapevo come aiutarla perché non avevo dimestichezza col computer, e allora le chiesi di darmi il numero dell’ufficio. Prima avrei sentito, come feci, Anita Baldi, che era il direttore amministrativo dell’associazione, e poi l’avrei richiamata.

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La Baldi m’indicò la soluzione del problema e io gliela dissi”.
Testimonia Mario Macinati, all’epoca dei fatti ‘fattore’ della casa di campagna di Francesco Caracciolo. Sostiene di non aver mai conosciuto Pietrino Vanacore, nonostante in passato abbia affermato il contrario. Lui e il figlio inoltre confermano le due telefonate ricevute la sera dell’omicidio, una intorno alle 21 e una intorno alle 23: aveva risposto la moglie di Macinati perché lui stava riposando. L’interlocutore, che non disse chi era ma che probabilmente era una persona collegata all’Aiag, aveva bisogno di parlare con Caracciolo.

7 MAGGIO 2010: il pm Calò e gli investigatori mettono in dubbio i 2 alibi forniti da Raniero Busco. Il primo, secondo il quale l’imputato avrebbe trascorso il pomeriggio del 7 agosto 1990 in compagnia di un amico, viene smentito dal fatto che l’amico ha poi sostenuto che quel giorno si trovava al capezzale della zia in fin di vita. Il secondo, secondo il quale ci sarebbero quattro testimoni del fatto che Raniero Busco il giorno dell’omicidio si trovava nel suo garage a riparare un’auto, lascia comunque dei dubbi: due amici di Busco sostengono di non ricordare tale episodio e gli altri due presunti testimoni – due amiche di famiglia – si sarebbero accordati sull’orario dell’avvistamento per rassicurare la madre di Raniero.

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12 MAGGIO 2010: Cade definitivamente il primo alibi di Raniero Busco: l’amico Simone Palombi in aula conferma di non essere stato con lui il giorno dell’omicidio.
Vengono ascoltati gli amici di Simonetta e Raniero, compresa la migliore amica di Simonetta: tutti concordano sul fatto che il rapporto tra i due non fosse così burrascoso come raccontato dalla madre di Simonetta. Erano due ragazzi di vent’anni, lei più innamorata di lui, ma che vivevano una storia normalissima.
Viene fatta vedere un’intervista a Pietrino Vanacore risalente al 1990. L’ex portiere di via Poma, facendo sue le parole della moglie, racconta: a proposito di Salvatore VolponiUn pomeriggio l’ho visto passare per andare negli uffici e poi indicare a due stranieri dov’era l’ufficio dell’associazione”. Ciò è in netta contraddizione con quanto ha sempre sostenuto Volponi, ossia di non essere mai stato in via Poma 2.

20 MAGGIO 2010: nel corso della decima udienza del processo per l’omicidio di Simonetta Cesaroni si discute sui nomi di persone fatti nel 2005 da Busco: queste tre persone, secondo l’imputato, sarebbero state interessate a Simonetta e avrebbero avuto un’indole violenta. È stato lo stesso Busco, in aula, a ridimensionare la cosa: è vero che aveva fatto questi nomi, ma non con l’intento di accusare qualcuno.
Gli esperti incaricati di esaminare il computer al quale stava lavorando Simonetta hanno dichiarato che il pc è entrato in funzione alle 16.37 del 7 agosto 1990 ed è stato spento accidentalmente all’1.26 dell’8 agosto.

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7 GIUGNO 2010: Anna Rita Pelucchini e Maria Di Giacomo – le due amiche della madre di Raniero Busco – confermano l’alibi dell’imputato (quello secondo il quale il giorno dell’omicidio stava aggiustando una macchina nel garage di casa), ma rischiano di essere accusate di falsa testimonianza a causa di alcuni “accorgimenti” che avrebbero fatto nelle loro versioni a proposito degli orari.

Testimonia Giuseppa De Luca, moglie di Pietrino Vanacore (nella foto insieme al marito). Dichiara di aver visto, il giorno dell’omicidio intorno alle 18, un uomo biondo di una certa età allontanarsi di spalle da via Poma. A proposito di Salvatore Volponi (che è presente in aula ma non depone, ancora una volta per motivi di salute) la De Luca dice: “Veniva spesso a via Poma. Il 7 agosto venne da me per farsi dare le chiavi degli Ostelli e mi disse se mi ricordavo di lui. Io l’ho riconosciuto perché veniva lì quando facevano le riunioni, ogni 15 giorni”.

Mario Vanacore, figlio di Giuseppa e Pietrino, parla ancora di Volponi al momento del ritrovamento del cadavere: “Volponi entrò negli uffici, io rimasi fuori. Entrò e diede un’occhiata in due stanze; poi tornò indietro e guardò nelle altre stanze. In una c’era Simonetta; disse ‘Bloccate, fermate Paola’, la sorella di Simonetta, e uscendo disse ‘Bastardo’. Non so a chi si riferisse”.
Viene riferito che Raniero Busco nel 2000 è stato denunciato 2 volte – da alcuni vicini di casa e dalla cognata – per liti violente degenerate in colluttazioni.

Valentina Magrin


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