Una chiusura col botto. Nei villaggi turchi, il via libera per l’iftar – la cena che segna la fine del digiuno e dell’astinenza quotidiani durante il mese del Ramadan – viene dato da un gioioso e chiassoso mortaretto: ma l’iftar del 28 agosto al museo archeologico di Istanbul ha autonomamente prodotto – senza mortaretto – un fragore molto più intenso e molto più duraturo, che la diretta televisiva ha portato un po’ ovunque nel paese (e via satellite anche in Grecia). A organizzare la serata, la Federazione delle associazioni greco-ortodosse; ospiti d’onore, i leader delle minoranze religiose con in testa il patriarca ecumenico Bartolomeo I, Erdoğan seduto al suo fianco insieme a sua moglie Emine, alcuni ministri e molti deputati o membri dell’Akp. Il premier turco ha parlato della convivenza tra religioni in epoca ottomana – delle tre religioni del libro – come “esperienza incomparabile”, una “qualità che distingue la Turchia dagli altri paesi”; ha rivendicato la cruciale importanza delle sue “riforme storiche che hanno spezzato tabù” e promesso che la Turchia del XXI secolo – a differenza del recente passato di marca nazionalista e laicista – non consentirà più ingiustizie e discriminazioni fondate sulla diversità etnica e degli stili di vita.
Poi sono arrivati i due attesi annunci: la pubblicazione di un decreto sulla Gazzetta ufficiale – il giorno prima – per la restituzione dei beni immobili espropriati alle minoranze (quelle così definite dal trattato di Losanna del 1923: greco-ortodossi, caldei, ebrei, armeni); il finanziamento pubblico – centomila euro complessivi all’anno – accordato dall’agenzia che si occupa di pubblicità istituzionale sui media turchi a sei pubblicazioni delle comunità non musulmane: Apoyevmatini – che, dopo 86 anni, pochi mesi fa ha rischiato di chiudere a causa di problemi finanziari – e Iho (greche), Jamanak, Marmara e Agos (armene), Şalom (ebraica). Il prossimo passo, come del resto aveva promesso nel suo discorso dopo la vittoria elettorale del 12 giugno, sarà una nuova Costituzione – democratica e inclusiva – in cui verranno riconosciuti i diritti e le libertà di tutti, su di un piano di uguaglianza: ed Erdoğan ha espressamente invitato i rappresentanti delle comunità – non solo religiosi – a offrire il loro contributo di richieste e suggerimenti.
Lakis Vingas, l’artefice della serata e il rappresentante delle fondazioni non musulmane – ne esistono circa 160 – presso il Direttorato generale per le fondazioni benefiche, ha colto l’invito al volo: “La nuova Costituzione dovrà essere la nostra Costituzione”, perché le minoranze desiderano un maggior coinvolgimento nella sfera pubblica e perché l’uguaglianza è uno dei fondamenti della democrazia moderna. Lo stesso Bartolomeo I, che dopo aver celebrato la messa il 15 agosto nel monastero di Sümela (altro evento storico, il permesso è stato accordato per la prima volta dopo 88 anni nel 2010, col bis due settimane fa) aveva ringraziamento il governo ma anche attaccato proprio sul problema delle proprietà confiscate, ha espresso la sua gioia – “un’ingiustizia è stata sanata” – per una decisione attesa da 75 anni: la restituzione di tutti i beni immobili – confiscati già al momento dell’indipendenza repubblicana nel 1923 e nei decenni successivi – inventariati nel 1936, con un’opportuna compensazione per quelli eventualmente alienati a terzi; se ne contano alcune centinaia, alcuni di gran pregio e valore storico e monetario: scuole, orfanotrofi, fontane, cimiteri. Per reclamarli ci sarà un anno di tempo, i documenti sono pronti da tempo.
Questa storica decisione – oltre che dai diretti interessati – era invocata a gran voce anche da molte associazioni della società civile turca e soprattutto dall’Unione europea: anche perché sono moltissimi i casi che hanno portato a condanne milionarie da parte della Corte europea dei diritti dell’uomo, creando una situazione di palpabile difficoltà nel processo di adesione della Turchia. Il comunicato stampa del commissario all’allargamento contiene infatti apprezzamenti per la decisione del governo turco, per la partecipazione di Erdogan all’iftar multireligioso, per l’annuncio – coi fatti e non solo con le parole – di un concreto rispetto della libertà di religione: un passo in avanti verso l’Europa, su di un percorso a ostacoli in cui sono però frequenti anche le battute d’arresto.